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venerdì 15 novembre 2013

tutto è relativo





Cosa significa l'espressione di Protagora 

"l'uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono?"

Ed in cosa consiste il suo relativismo?


Protagora nacque ad Abdera ma conobbe la sua fortuna ad Atene, dove Pericle, suo estimatore, gli diede l'incarico di scrivere le leggi della colonia di Turi. Purtroppo il suo periodo aureo si interruppe ben presto, quando affermò che non poteva ammettere, secondo logica, l'esistenza degli dei, cosa che gli valse l'esilio in Sicilia. Morì naufragando durante la fuga.

L'opera principale di Protagora si intitola Antilogie, ovvero "discorsi antitetici", dove ad ogni argomento corrisponde il suo contrario, in modo da dimostrare come la verità sia impossibile da raggiungere proprio nell'ambito della ragione stessa (la ragione ha in sé l'errore, per cui è impossibile dimostrare qualsiasi verità razionalmente).


L'uomo è misura di tutte le cose. Non esiste altro criterio per stabilire la verità se non l'esperienza stessa che si pone di fronte in modo diverso a uomini diversi. Solo ciò che i sensi percepiscono è reale, ciò che non percepiscono non esiste. L'uomo è misura di tutte le cose, ovvero, ciò che viene percepito dall'uomo è il solo criterio per giudicare la realtà (e la verità).
Da ciò deriva che non esiste una sola verità, perché lo stesso fenomeno percepito in un certo modo da un uomo, può essere percepito diversamente da un altro, in tal caso entrambi i giudizi costituiscono verità (ad esempio, se un uomo percepisce l'acqua di un fiume come calda, mentre allo stesso tempo e nello stesso luogo un altro uomo la percepisce fredda, entrambi gli uomini hanno ragione).

Il compito del filosofo. Se ogni uomo raggiunge la verità con i propri mezzi (seguendo le proprie percezioni), compito del filosofo non è più la ricerca della verità assoluta, che non esiste, ma quella di aiutare le persone a migliorare l'esposizione delle proprie idee e i propri giudizi, così da predisporli verso un sapere più ampio. Compito del filosofo è quindi quello di elevare l'uomo a livelli di civiltà superiori, non tanto perché costituisca verità nei confronti di civiltà inferiori, ma in quanto l'elevarsi a civiltà superiore conviene in senso utilitarista.


 PROTAGORA


I ragionamenti doppi 

“Passo ora a quelle cose che le città e i popoli ritengono brutte. 
Per esempio, per gli Spartani, che le fanciulle facciano la ginnastica e si esibiscano in pubblico sbracciate e senza tunica; è bello; per gli Ioni, brutto. 
E per quelli, è bello che i fanciulli non apprendano la musica e le lettere; per gli Ioni è brutto non sapere tutte queste cose. 
Presso i Tessali, è bello per una persona prendere i cavalli o i muli dall’armento e domarli, e prendere un bove e sgozzarlo, scuoiarlo e squartarlo; ma in Sicilia è brutto e opera di schiavi. 
Presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di sposarsi amino e si congiungano con un uomo, e dopo le nozze, brutto; presso i Greci, è brutta l’una e l’altra cosa. 
Presso i Traci, il tatuaggio per le fanciulle è un ornamento; presso gli altri popoli, invece, è una pena che si impone ai colpevoli. […] 
I Persiani reputano bello che anche gli uomini si adornino come le donne, e si congiungano con la figlia, con la madre, con la sorella; per i Greci son cose turpi e contro la legge. 
Presso i Lidi, che le fanciulle si sposino dopo essersi prostituite per denaro, sembra bello; presso i Greci, nessuno le vorrebbe sposare. […] 

E io credo che se si comandasse a tutti gli uomini di riunire in un fascio le cose che ciascun di essi reputa cattive, e poi dopo di togliere dal gruppo quello che ciascun d’essi reputa belle, non ce ne rimarrebbe neppur una , ma tra tutti se le ripiglierebbero tutte. Poiché nessuno la pensa come un altro”.

1 commento:

  1. Bisogna inoltre pecisare che in Protagora è presente la scissione tra realtà e linguaggio: non esiste un unico discorso sull'essere, tanto è vero che è possibile sostenere a proposito della medesima realtà due tesi tra loro contraddittorie senza poter decidere razionalmente della verità dell'una o dell'altra. Da qui la crisi del linguaggio, che perde il suo potere veritativo (Parmenide) e risulta valido solo se UTILE alla collettività.

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