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lunedì 25 febbraio 2019

il mito delle stirpi

Nel terzo libro della "Repubblica", il racconto fenicio, anzi, "un qualcosa di fenicio", è un mito di fondazione, che si differenzia dai miti narrati dai poeti perché è artificiale e dichiaratamente falso, tanto che Socrate lo espone con esitazione e vergogna. La sua funzione è la legittimazione della gerarchia politica, prima per i governati e, dopo una generazione, anche per i governanti. Come i vasi, così gli uomini possono essere d'oro, d'argento o di bronzo e, a seconda del metallo di cui son fatti, devono occupare un ben preciso gradino della scala sociale (se sono d'oro, saranno governanti; se d'argento, saranno guardie; se di bronzo, lavoratori). 
Franco Trabattoni (Platone, Carocci, Roma, 1998, p. 188) sostiene che il contenuto del mito è anti-aristocratico: l'aristocrazia non è quella della nascita o della ricchezza, ma quella fornita da attitudini che ci sono date, e che possono essere in contrasto con la classe sociale che ci ha generato. da Filosofico.net





«Con quale mezzo potremmo allora far credere una genuina menzogna, di quelle che s'inventano al momento opportuno e di cui parlavamo prima, soprattutto ai governanti stessi, o altrimenti al resto della città?» «Quale menzogna?», chiese. «Nulla di nuovo», risposi, «solo una storia fenicia, già accaduta in passato in molti luoghi, come ci dicono in modo convincente i poeti; ma non so se sia accaduta o possa mai accadere ai giorni nostri, e del resto richiede una buona dose di persuasione per essere convincente». «Sembra che tu esiti a raccontarla», osservò. «Quando l'avrò raccontata», replicai, «la mia esitazione ti sembrerà ragionevole». «Parla pure», disse, «non avere paura». «Allora parlerò, per quanto non sappia con che coraggio e con quali parole; e cercherò di persuadere innanzitutto i governanti stessi e i soldati, poi anche il resto della città, che essi avevano l'impressione di ricevere tutta l'educazione fisica e spirituale impartita da noi come in un sogno che accadesse attorno a loro, ma in realtà in quel momento erano plasmati ed educati nel seno della terra, essi, le loro armi e il resto del loro equipaggiamento già bell'è fabbricato; e quando furono interamente formati la terra, che era la loro madre, li portò alla luce. Per questo ora devono provvedere alla terra in cui vivono e difenderla come loro madre e nutrice, se qualcuno muove contro di essa, e considerare gli altri cittadini come fratelli nati anch'essi dalla terra». «Non a torto», esclamò, «prima ti vergognavi a proferire questa menzogna!». «E ne avevo ben donde!», risposi. «Tuttavia ascolta anche il resto del mito. Voi cittadini siete tutti fratelli, diremo loro continuando il racconto, ma la divinità, plasmandovi, al momento della nascita ha infuso dell'oro in quanti di voi sono atti a governare, e perciò essi hanno il pregio più alto; negli ausiliari ha infuso dell'argento, nei contadini e negli altri artigiani del ferro e del bronzo. Dal momento che siete tutti d'una stessa stirpe, di solito potete generare figli simili a voi, ma in certi casi dall'oro può nascere una prole d'argento e dall'argento una discendenza d'oro, e così via da un metallo all'altro. 

Ai governanti quindi la divinità impone, come primo e più importante precetto, di non custodire e non sorvegliare nessuno così attentamente come i propri figli, per scoprire quale metallo sia stato mescolato alle loro anime; e se il loro rampollo nasce misto di bronzo o di ferro, dovranno respingerlo senza alcuna pietà tra gli artigiani o i contadini, assegnandogli il rango che compete alla sua natura. Se invece da costoro nascerà un figlio con una vena d'oro o d'argento, dovranno ricompensarlo sollevandolo al rango di guardiano o di aiutante, perché secondo un oracolo la città andrà in rovina quando la custodirà un guardiano di ferro o di bronzo. Conosci dunque un qualche sistema per convincerli di questo mito?» «Per convincere loro», disse, «assolutamente no; semmai per convincere i loro figli e discendenti e la posterità in generale». «Ma anche questo», dissi, «potrebbe essere un buon sistema per indurli a curarsi maggiormente della città e dei rapporti reciproci; capisco grosso modo il tuo pensiero. 
L'esito di questo progetto dipenderà da come lo diffonderà la fama; per quanto sta in noi, armiamo questi figli della terra e conduciamoli innanzi, sotto la guida dei governanti».

(Platone, Repubblica, III, 414 D)
ma perchè Socrate parla di "menzogna"?

Il mito vuole legittimare un ordinamento gerarchico di filosofi, di soldati e di semplici cittadini.
Di vero, alla base del racconto, c’è solo il fatto che la capacità di controllare le nozioni nella nostra mente in maniera vigile e attiva si sviluppa, in ciascuno, in un modo differente. 
Questa capacità, tuttavia, non spunta dalla terra, né viene trasmessa per via ereditaria, come la proprietà privata o il patrimonio genetico, bensì cresce in un lungo e faticoso processo di educazione e di confronto con gli altri. Socrate crede nell'azione educativa (Trabattoni) e dunque nel percorso individuale che rende ciascuno diverso dagli altri. La storia delle nostre vite ci rende diversi.
Ma proprio questa conquista introduce la disuguaglianza – una disuguaglianza che insiste sulla capacità di dominare ciò che si sa. 
L’elemento esplicitamente falso del racconto è dunque il carattere non storico, bensì innato di questa disuguaglianza.

domenica 10 febbraio 2019

un giorno di formazione civica a Palermo e a Villafrati

mercoledì 13 Febbraio

alcuni studenti del liceo visiteranno a Palermo la mostra

I giovani ricordano la Shoah

Palazzo Chiaramonte Steri, ore 11-13




alle ore 15 si recheranno a Villafrati (PA) 

per visitare
il Museo delle Spartenze



martedì 5 febbraio 2019

Salvador Dalì, l'arte dialoga con la filosofia

Salvador Dalì, Persistenza della memoria, 1931

“Una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all’ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. 
Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. 
A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com’è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. 
Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato.”