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mercoledì 17 dicembre 2014

l'uomo e le leggi per Socrate






...Sicché se tu ora muori, muori ingiuriato, non 
da noi leggi,
ma sí dagli uomini; ma se tu fuggi, pagando cosí vergognosamente ingiuria con
ingiuria, male con male, i patti e gli accordi da te fermati con noi rompendo, e chi
meno si convenia offendendo, cioè, te medesimo, e amici, e patria, e noi; noi ti
staremo in collera insino a tanto che tu avrai fiato; e laggiú le nostre sorelle, le leggi
d'inferno, non t'accoglieranno benignamente, 
sapendo che ti sei provato di abbatterci
e di umiliare quanto potevi...



leggi qui tutto il dialogo platonico


dopo la lettura:
  • presenta luogo e tempo della vicenda: dove siamo? in quale periodo? in quale circostanza?
  • indica i protagonisti del dialogo
  • presenta il loro ruolo così come si prospetta nel corso del dialogo
  • enuclea il messaggio che Platone, attraverso Socrate, intende consegnarci
  • concludi con le tue riflessioni personali
  • invia la tua relazione all'insegnante


per un'analisi del dialogo




La Morte di Socrate (La Mort de Socrate) è un dipinto a olio su tela (129,5 × 196,2 cm) 
del pittore francese Jacques-Louis David
realizzato nel 1787 
e conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.

Nella Morte di Socrate David impiega il colore in una maniera altamente emozionale. Le tonalità rosse, più tenui sui margini del dipinto, diventano più vibranti man mano che ci si avvicina al centro della composizione, sino a culminare nella veste scarlatta dell'uomo che porge al filosofo la coppa di veleno. Gli unici due uomini che non si disperano, bensì rimangono sereni nonostante la tragicità dell'evento, sono Socrate e Platone: per distinguerli, David tinge le loro vesti di blu e di bianco, in contrasto con le tonalità calde degli altri uomini.

Ultimato il dipinto, David ne attestò la proprietà artistica con una doppia firma: l'una è intera, ed è collocata al di sotto di Critone (l'uomo che si aggrappa alla coscia di Socrate), mentre l'altra consta solo delle iniziali e si trova sotto la figura di Platone. La collocazione delle due firme non è affatto frutto del caso: la prima, infatti, si trova sotto Critone in ragione della somiglianza con l'artista, mentre l'altra è da interpretare come un ringraziamento a Platone, che scrivendo il CRITONE ha consentito a David di realizzare l'opera, e generalmente di preservare la scena tramandandola con la sua mediazione letteraria nelle generazioni future.



sabato 13 dicembre 2014

la solidarietà


Scardina barriere, demolisce la nuda logica del potere,costruisce legami. Il principio di solidarietà è l’antidoto a un realismo rassegnato che non lascia speranze, che non lascia diritti. Solo la presenza effettiva dei segni della solidarietà consente di continuare a definire ‘democratico’ un sistema politico.
L’esperienza storica ci mostra che, se diventano difficili i tempi per la solidarietà, lo diventano pure per la democrazia.
Stefano Rodotà



Solidariet�

giovedì 4 dicembre 2014

l'encomio di Elena




Con l'encomio Gorgia  si pone l'obiettivo di scagionare Elena, moglie del re di Sparta Menelao, dalla terribile colpa di aver provocato, 
abbandonando il marito per seguire Paride, figlio di Priamo re di Troia, 
la sanguinosa guerra di Troia.


"Ornamento per una città è il valore degli eroi; per un corpo la bellezza, per un'anima la sapienza, per un'azione l'eccellenza, per un discorso la verità: ciò che è opposto a questo è disordine. Un uomo, una donna, un discorso, un'azione, una città, una cosa degna di lode devono essere lodati; mentre deve essere biasimato ciò che è indegno. Uguale errore e incapacità è biasimare ciò che deve essere lodato e lodare ciò che deve essere biasimato. 

E' dovere della stessa persona dire rettamente quel che deve e confutare ciò che non è detto giustamente; bisogna quindi confutare coloro che rimproverano Elena, donna intorno alla quale consona e concorde è stata la testimonianza dei poeti che hanno udito e la fama del nome, che è diventato ricordo di sciagura. 

Ma io voglio dare un'argomentazione al mio discorso e far cessare le accuse rivolte a lei, che gode sì cattiva fama; mettendo in luce la falsità di chi la rimprovera e mostrando il vero, voglio por fine alla ignoranza....."

Gorgia, Encomio di Elena 




rispondi:

perchè Elena, secondo Gorgia, non ebbe alcuna colpa
nella guerra di Troia?

elenca i motivi a discolpa indicati da Gorgia

qual è il reale scopo dell'encomio?


martedì 2 dicembre 2014

IL METODO CARTESIANO E LE QUATTRO REGOLE




La critica dei sistemi filosofici classici non può prescindere da una critica dei loro metodi di indagine. Cartesio si impegna quindi a definire quattro regole basilari di un nuovo metodo che permetterà una conoscenza più esatta del mondo:

1. La prima regola deve essere quella dell'evidenza: se si vuole conoscere con certezza, non è possibile accettare alcun dato che non abbia in sé il carattere della chiarezza, dell'immediatezza e della distinzione. E' chiaro ciò che è evidente, ed è evidente ciò che si manifesta immediatamente ai sensi, chiaramente distinto da ogni altro fenomeno ("non accettare mai nessuna cosa per vera se non la riconoscessi evidentemente come tale"). Questa prima regola è dunque presente in ogni uomo, non va appresa ma solo individuata: l’intuizione (da intueor, vedere con gli occhi della mente) ci dice ciò che è chiaro e distinto

2. La seconda regola è quella dell'analisi: il problema deve essere prima scomposto e affrontato partendo dall'analisi delle sue singole parti ("dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti possibili e necessarie per meglio risolverle"). Questa regola chiede di scomporre il problema complesso nelle sue parti più semplici: de-ducere, togliere, sottrarre le difficoltà.

3. La terza regola è la sintesi: il problema analizzato nella sue singole parti va ricomposto a partire dai dati che sono stati ritenuti validi in modo certo e incontrovertibile ("Condurre i miei pensieri per ordine, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi, per salire poco a poco, come per gradi, fino alle conoscenze più complesse"). Procedere dalle proposizioni semplici per arrivare a quelle complesse, dalle premesse ricavare le conseguenze: deductio.

4. La quarta regola è l'enumerazione, ossia la verifica finale dei dati, una regola prudenziale che impone l'esigenza di rivedere ogni fase del procedimento critico in modo da eliminare eventuali errori residui ("Fare dappertutto enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla"). Si tratta di un “soccorso artificiale” alla memoria naturale: per evitare di cadere in errore è meglio rivedere e controllare tutte le catene dimostrative utilizzate.

Queste sono le regole che per Cartesio appartengono già al procedimento matematico e geometrico, che hanno in sé la qualità di procedere per lunghe catene di ragionamenti che si fondano ciascuno su una deduzione verificata, catene che portano alla definizione di leggi e principi sulla base della sintesi dei singoli passaggi.
E' sull'esempio del procedimento matematico e geometrico che la vera scienza deve procedere per non commettere errori. 

 
CERTEZZA dell’intuizione e RIGORE della deduzione conducono alla verità.
Certe saranno solo le idee intuite e quelle dedotte da altre già ritenute certe


MA SU QUALE PRINCIPIO SI FONDA IL METODO?
IN BASE A QUALE CRITERIO POSSO STABILIRE CHE UN'IDEA E' CHIARA E DISTINTA?

domenica 30 novembre 2014

homo homini deus est




Se l’essere umano è per l’uomo l’essere sommo anche nella pratica la legge prima e suprema sarà l’amore dell’uomo per l’uomo. 
"Homo homini deus est": questo è il nuovo punto di vista, il supremo principio pratico che segnerà una svolta decisiva nella storia del mondo.  

L.Feuerbach, L'Essenza del Cristianesimo

l'eredità di Hegel



La filosofia di Hegel apre, sulla scia del kantismo e di un suo superamento, il dibattito filosofico contemporaneo.
 Ecco un percorso per slides che sintetizza l'evoluzione del dibattito fino alla crisi delle certezze di primo Novecento





segnalato da  Antonio Nini

sabato 29 novembre 2014

l'uomo è ciò che mangia

Vincent Van Gogh, I mangiatori di patate, 1885



 De Aardappeleters
olio su tela
cm 82 x 114
1885
Museo Van Gogh di Amsterdam

La scena è ambientata in una casa poverissima e al suo interno la luce fioca di una lampada a petrolio illumina solo una parte della stanza e dei personaggi seduti intorno al tavolo. Citazioni di un fiammingo secentesco. Il gruppo di persone, contadini e non minatori, è composto da cinque persone intente a consumare un pasto frugale a base di patate. Tra loro di spalle vi è anche una bimba, avvolta da un alone che sembra darle un effetto controluce. Malgrado la loro condizione di indigenza e la difficoltà nell’affrontare le fatiche, le privazioni e le sofferenze della loro vita quotidiana mantengono nei gesti e negli sguardi reciproci un rispetto inaspettato ed esprimono una dignità che li unisce rafforzandoli nella misera che condividono. 
E’ visibile la partecipazione affettiva di Vincent nella spiritualità che ritrae dei personaggi e la religiosità con cui essi consumano il pasto faticosamente guadagnato con il duro lavoro della terra. Ed è visibile il valore intrinseco della casa e della famiglia ove i gesti e le povere cose divengono importanti e degne.

 "L’uomo è ciò che mangia diceva Feuerbach. Ma qui non siamo in una prospettiva solo materialistica. Nella rappresentazione della famiglia dei mangiatori di patate siamo infatti in un’atmosfera profondamente umana, una sintesi tra materia e spirito, che coinvolge non solo tutti i sensi con la forma, il colore, il tatto, ma anche i sentimenti in un’atmosfera di comunione quasi tattile. Si sente la comunione con la terra, con il corpo e tra persone che hanno la stessa esistenza, che affrontano la stessa vita, condivisa ed accettata, con umiltà, ma con consapevole dignità, anche se con atteggiamento differente. Alle ingenue aspettative, espresse dallo sguardo spalancato della giovane donna al centro della famiglia, fa da contrappunto la rassegnazione al proprio destino della donna più anziana, che versa il caffè, rifugiandosi quasi in un suo rito. 

I mangiatori di patate quindi hanno la stessa storia e condividono lo stesso destino. 
La fanciulla di spalle non si vede; forse perché non ha ancora sul volto e sulle mani i segni del proprio lavoro, ma si indovina che ha lo stesso destino degli altri, quel destino che lei vede riflesso nella comunione familiare dei mangiatori di patate, alla luce fioca, umile, ma viva della lampada".                                   Giuseppe Tarditi


Il riferimento a Feuerbach (morto nel 1872, pochi anni prima dunque), a partire dall'opera di Van Gogh, è pertinente: 

la vita di ciascuno di noi matura nel contesto di appartenenza e l'alimentazione ha un ruolo fondamentale nello sviluppo armonico della personalità. Non si tratta di puro materialismo. Inoltre Feuerbach può essere definito un buon profeta delle odierne conoscenze scientifiche. Oggi questa "teoria degli alimenti"è infatti confermata dalla ricerca biomedica e conduce alla nutrigenomica: esiste un rapporto stretto tra le abitudini alimentari e l'insorgenza o meno di patologie, sia fisiche che psicologiche.

Va anche messa in evidenza, in entrambi gli autori, l'idea che il lavoro segni l'esistenza degli uomini, tanto da definirne ruoli sociali, stato di benessere o di sfruttamento, povertà o ricchezza.

Quest'ultimo aspetto, messo a fuoco da Feuerbach nella sua riflessione psicofisica,  rappresenterà il trait d'union tra Hegel e Marx

mercoledì 19 novembre 2014

un dramma in atto

 



C'è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne con il rispetto di cui si circondano le madri. È un paradosso criminale negare alla donna ogni attività pubblica, precluderle la carriera maschile, proclamare la sua incapacità in tutti i campi, e affidarle l'impresa più delicata e più grave: la formazione di un essere umano. Ci sono molte donne a cui i costumi, la tradizione negano ancora educazione, cultura, responsabilità, attività, che sono privilegio degli uomini e nelle cui braccia, ciò nonostante, si mettono senza scrupoli i figli, come prima le si consolava con delle bambole della loro inferiorità nei confronti dei maschi; si impedisce loro di vivere; in compenso, si permette loro di giocare con bambole di carne e d'ossa
Simone de Beauvoir


Con 179 donne uccise, il 2013 è stato l'"anno nero" per il femminicidio nel nostro Paese, il più cruento degli ultimi sette, con un incremento del 14% rispetto al 2012. E' uno dei dati contenuti nel secondo Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, secondo cui l'anno passato ha presentato la più elevata percentuale di donne tra le vittime di omicidio mai registrata in Italia, pari al 35,7% delle vittime totali (179 sui 502): nel '90, le donne uccise erano appena l'11,1% delle vittime totali. Sempre nel 2013, quasi il 70% dei femminicidi è avvenuto in famiglia, il 92,4% per mano di un uomo. 


 Matricidi per ragioni economiche. Anche per effetto del perdurare della crisi, si rileva un forte aumento dei matricidi, spesso compiuti per "ragioni di denaro" o per una "esasperazione dei rapporti derivanti da convivenze imposte dalla necessità": sono 23 le madri uccise nell'ultimo anno, pari al 18,9% dei femminicidi familiari, a fronte del 15,2% rilevato nel  2012 e del 12,7% censito nel 2000-2013.

Omicidi a mani nude. Se le armi da fuoco si confermano come strumento principale negli omicidi in genere (45,1% dei casi, contro il 25,1% dalle armi da taglio), nei femminicidi la gerarchia degli strumenti si modifica significativamente. Sconcerta il fatto che sono gli omicidi "a mani nude, espressione di un più alto grado di violenza e rancore", a rappresentare complessivamente lo strumento più ricorrente (51 le vittime, pari al 28,5% dei casi), nelle tre forme delle percosse (5,6%), dello strangolamento (10,6%) e del soffocamento (12,3%). Di poco inferiore la percentuale di quelli con armi da fuoco (49, il 27,4% del totale) e da taglio (45 vittime, pari al 25,1%), cui seguono quelli compiuti con armi improprie (21 vittime, pari all'11,7%) o con altri mezzi (13 vittime, pari al 6,1%).

Nel 66,4% vittime del coniuge. Spesso è la famiglia 'la trappola' che imprigiona queste donne. Anche l'anno scorso, in 7 casi su dieci (68,2%, pari a 122 in valori assoluti) i femminicidi si sono consumati all'interno del contesto familiare o affettivo, in coerenza con il dato relativo al periodo 2000-2013 (70,5%).  Se l'autore risulta essere quasi sempre un uomo, sono le trasformazioni e le dinamiche del rapporto di coppia a spiegare il maggior numero dei casi. Nel 2013, infatti, il 66,4% delle vittime è stata uccisa coniuge, dal partner o dall'ex partner (81 vittime su 122).

Cresce l'età delle vittime. Accanto alle modificazioni territoriali, il 2013 rileva anche una crescita dell'età media delle vittime di femminicidio, passata da 50 anni nel 2012 a 53,4. E con l'età media cresce anche la percentuale delle vittime di femminicidio in condizione non professionale (dal 54,8% del 2012 al 58,1%), confermandosi le pensionate (35,5% del totale) le vittime prevalenti, seguite da casalinghe e disoccupate (15,1%), impiegate e lavoratrici dipendenti (9,9%) e domestiche, colf e badanti (9,9%).

Gelosia. E' il tarlo della gelosia a spiegare la percentuale più elevata di femminicidi (il 30,3% di quelli familiari, pari a 36 in valori assoluti), seguiti da quelli scaturiti da conflitti e dissapori quotidiani (21 vittime, pari al 17,6%). I "femminicidi del possesso" conseguono generalmente alla decisione della vittima di uscire da una relazione di coppia: sono  oltre 330 le donne uccise in Italia, dal 2000 a oggi, per aver lasciato il proprio compagno.

Vittime lasciate sole.  Il rapporto Eures sottolinea infine anche "l'inefficacia e inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d'aiuto delle donne vittime di violenza all'interno della coppia, visto che nel 2013 ben il 51,9% delle future vittime di omicidio (17 in valori assoluti) aveva segnalato/denunciato alle Istituzioni le violenze subite"

martedì 11 novembre 2014

Destra e Sinistra hegeliana

la scuola hegeliana: un dibattito "vivace"


Dopo la morte di Hegel, i suoi numerosi discepoli continuarono ad ispirare la cultura filosofica tedesca, ma si mossero in direzioni diverse e, per certi versi, contrapposte. 

Con le sue opere, soprattutto l’Enciclopedia, la Fenomenologia dello Spirito e i Lineamenti di Filosofia del Diritto, Hegel aveva restituito di sé e della sua filosofia politica un’immagine ambivalente che si prestava ad interpretazioni contrastanti

Nel 1837, David Strauss, uno dei suoi allievi, designò le due correnti che si erano venute formando all’interno della scuola hegeliana, con la denominazione, desunta dalle consuetudini del parlamento francese, di destra e sinistra hegeliana.

La spaccatura della scuola si ebbe in seguito al diverso atteggiamento assunto dai discepoli di fronte ad alcuni temi, che, se all’inizio riguardarono questioni squisitamente teoretico-religiose, in seguito si estesero anche ad altre, di carattere filosofico-politico. Diciamo, per semplicità, che con la destra si schierarono quei pensatori che, tendenzialmente conservatori, guardavano con favore al regime prussiano, con la sinistra, quelli progressisti, che erano critici nei confronti di questo regime.




Scontro sul terreno della riflessione religiosa: ragione e religione

La stessa teoria della religione di Hegel si prestava a interpretazioni contrastanti. Egli aveva affermato che religione e filosofia esprimono il medesimo contenuto in forme differenti, la “rappresentazione” l’una ed il “concetto” l’altra, e con questo legittimava ad una doppia interpretazione di questo rapporto.
(► Hegel afferma che: “religione” e “filosofia” esprimono il medesimo contenuto in due forme differenti: la religione si esprime attraverso la “rappresentazione”, la filosofia attraverso il “concetto”).
I conservatori (i rappresentanti della destra hegeliana, la generazione più anziana, gli allievi diretti di Hegel) insistevano sull’identità di contenuto fra le due forme espressive e dunque concepivano la filosofia come una forma di giustificazione razionale delle credenze religiose.
I progressisti (i giovani hegeliani “di sinistra”), invece, insistevano sulla diversità di forma fra rappresentazione (della religione) e concetto (della filosofia) e concepivano la filosofia come superamento, quando non annientamento, della religione.
La prima posizione, quella della destra, finì per configurarsi come una sorta di scolastica dell’hegelismo, ma al fine di giustificare razionalmente la religione dovette amputare gli aspetti panteistici e immanentistico della filosofia di Hegel. La sinistra, sostenendo l’inconciliabilità tra dogma religioso e verità speculativa, finì per fare della filosofia uno strumento di contestazione razionale della religione.


Scontro sul terreno della filosofia politica: il metodo e la dialettica.

La frattura ebbe anche motivazioni di carattere politico, data la stretta connessione fra Trono e Altare esistente da sempre in Germania. In questo secondo ambito lo scontro avvenne riguardo all’identità ontologica tra realtà e ragione, uno dei capisaldi del sistema hegeliano.
►Hegel afferma che: il reale è razionale, vi è identità tra pensiero ed essere.

Sostenendo quest’identità, la destra assunse un atteggiamento globalmente “giustificazionistico” nei confronti dell’esistente e dunque interpretò la filosofia di Hegel, e la Prussia degli anni trenta dell’ottocento, come la piena realizzazione dello Spirito del mondo. Il reale va conservato in quanto razionale.In altre parole, per la destra hegeliana, la storia del mondo avrebbe un fine e una fine e questi coinciderebbero con lo Stato prussiano.

La sinistra, interpretando in modo dinamico la teoria del “processo” hegeliano per il quale “ciò che è” si auto-supera incessantemente in vista di un farsi razionale”, poneva l’accento sulla “dialettica”, affermando che compito della filosofia era sostenere un progetto di trasformazione rivoluzionaria dell’esistente, trasformare il reale in senso razionale (in questo caso, per esistente leggi “le istituzioni politiche contemporanee”). Potremmo anche dire che la distinzione tra destra e sinistra hegeliana si afferma su quella, rilevata da Engels in un saggio dal titolo Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886), tra il sistema filosofico di Hegel (chiuso, circolare, basato sull’idea conservatrice della perfetta identità di essere e pensiero) e il metodo da lui usato (la dialettica di ciò che sempre diviene; la teoria per cui “tutto ciò che sussiste” è destinato a essere superato dal momento successivo all’interno della necessità dialettica che guida il corso del mondo). Il carattere conservatore del sistema (che si può condensare nella figura della filosofia, come “nottola di Minerva”, che opera interpretando gli avvenimenti dopo che essi si sono compiuti e hanno svelato la loro necessità) si distingue in maniera netta da quello rivoluzionario del metodo dialettico. Secondo questa distinzione la destra e la sinistra hegeliane incarnano le posizioni di chi interpreta Hegel soprattutto dal punto di vista del sistema (la destra) e chi lo interpreta dal punto di vista del metodo (la sinistra).

Se la destra hegeliana ebbe limitata incidenza storica, ben più influente fu la sinistra, quella dei giovani, i quali, oltre a contrapporsi per età agli uomini della destra, che erano professori universitari, accademici affermati, se ne distinguono per la loro irruenza filosofica, per la loro passione e per la loro esaltazione rivoluzionaria.

Sul piano religioso, come su quello politico, la sinistra cercò di accentuare quei tratti dell’uomo concreto, che non avevano trovato in Hegel riconoscimento sufficiente.



UNA MAPPA DI RIEPILOGO
di Giovanni Cavallaro, 5 I




domenica 9 novembre 2014

9 NOVEMBRE 1989, Berlino di nuovo unita

Era la sera del 9 novembre 1989 quando migliaia di persone che vivevano nella Berlino dell’est si radunarono davanti al MURO, simbolo ancora sorvegliato dai soldati della divisione della Città, ma soprattutto delle due Germanie che si erano sviluppate in direzioni diametralmente opposte, con ansia e preoccupazione.

Nella incredibile confusione di quella sera qualcuno, ancora oggi non si sa esattamente chi, diede l’ordine ai soldati che presidiavano il Muro, costruito nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 davanti agli occhi esterrefatti degli abitanti, di ritirarsi. Migliaia di berlinesi dell’est così cominciarono ad abbattere e scavalcare quello che era stato il simbolo più vergognoso della Guerra Fredda. 

Da allora sono passati venticinque anni. 

Il 9 novembre del 1989 non fu un giorno qualunque.
Quel giorno infatti cadeva il muro di Berlino e rinasceva l’Europa.

Il secolo breve si avviava alla sua conclusione






 
 la storia del muro di Berlino


"Ha significato la divisione di Berlino, del nostro Paese, dell’Europa e del mondo in una parte libera e in una senza libertà. Il Muro alla fine è caduto in modo assolutamente pacifico, senza uno sparo, senza spargimento di sangue. È stato un miracolo. La protesta degli abitanti della Ddr era montata per mesi, lentamente ma ininterrottamente e alla fine non poteva più essere fermata. L’ottuso regime della SED, che fino alla fine si era rifiutato di effettuare sostanziali riforme, si dissolse di fronte alla voglia di libertà delle persone, così come aveva previsto 40 anni prima Konrad Adenauer, il primo cancelliere della Repubblica Federale Tedesca. Dopo la caduta del Muro nel novembre ’89 non sarebbe passato neanche un anno fino a che noi raggiungessimo la riunificazione in pace e libertà e con l’approvazione dei nostri partner e alleati nel mondo. Il 3 ottobre ’90 potemmo festeggiare il giorno dell’unità tedesca. Fu il trionfo della libertà...Ma né la caduta del Muro, né la riunificazione sono prodotti scontati della storia, accaduti quasi da sè. Essi sono piuttosto il risultato di un atto di equilibrio politico lungo, difficile e sempre contrastato che durava dal 1945/’49....

 ..Quando, a mezzogiorno del 9 novembre 1989, nel parco della Cancelleria, salii su un elicottero militare che mi avrebbe portato all’aeroporto di Colonia-Bonn per una visita a Varsavia, non sapevo che questa data sarebbe entrata nella storia tedesca. I miei pensieri erano rivolti alla difficile visita in Polonia...Immediatamente prima della partenza della colonna di auto dalla residenza per ospiti di Parkowka al centro di Varsavia, mi raggiunse una chiamata urgente da Bonn. A Berlino Est il portavoce Guenter Schabowski aveva annunciato a sorpresa regole provvisorie...in altre parole, chiunque avrebbe potuto varcare il Muro. Durante il banchetto, mi vennero comunicati altri particolari dei drammatici avvenimenti. Poco dopo, erano circa le 21, chiamai Eduard Ackermann a Bonn...«Signor cancelliere, il Muro è appena caduto!», gridò al telefono. «Ackermann, è sicuro?», risposi. «Sì», disse, e riferì che ai varchi di passaggio si erano accalcate le prime persone per fare la prova e, se era correttamente informato, alcuni avevano già passato il confine. Mi mancò quasi la parola...Un’ora più tardi richiamai Ackermann. Che confermò: i berlinesi dell’Est a centinaia avevano passato i posti di controllo."






 

La notizia dai TG italiani del 9 novembre 1989








dal mio viaggio a Berlino, agosto 2013
la città è attraversata oggi da questa striscia in mattoni rossi che ricorda l'intero perimetro del muro


pezzi di muro distribuiti nell'area berlinese a memoria della drammatica divisione dal 1961 al 1989



Il Checkpoint Charlie era un noto posto di blocco sul confine tra i due settori della città.
In funzione dal 1945 al 1990, collegava il settore di occupazione sovietico  (quartiere di Mitte ) con quello americano (quartiere di Kreuzberg).
  Vi era ammesso il passaggio solo di militari delle forze alleate, di diplomatici e di cittadini stranieri.

Oggi un museo presente dell'area ricostruisce i vari tentativi di fuga dei berlinesi e alcuni drammatici epiloghi

venerdì 7 novembre 2014

i presocratici





Segnaliamo una efficace presentazione di riepilogo della filosofia presocratica con link a video e approfondimenti
curata dal Liceo Scientifico Mariano IV d'Arborea Oristano

giovedì 6 novembre 2014

la triade hegeliana

.....Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev'essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo,essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra,  appunto, necessario: che, cioè, prima l'ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, còlto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale.





Quando la filosofia dipinge il suo grigio sul grigio, allora un aspetto della vita è invecchiato, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: 
la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
Hegel


La civetta di Minerva  accompagna la dea nei miti dell' antica Roma e nei miti dell'antica Grecia. 
È il simbolo della filosofia e della saggezza.Gli occhi e il becco seguono la linea della lettera φ (fi), simbolo alfabetico greco della filosofia e in seguito della sezione aurea. Lettera che quindi accomuna armonia, bellezza e amore per la conoscenza e per la ricerca in senso lato.

A questa efficace immagine Hegel consegna il ruolo della filosofia.







tutela dei beni comuni e costituzione




Parlare di beni comuni significa riflettere sulla proprietà di un bene non a partire dal soggetto che ne è titolare ma concentrandosi sulla funzione che tale bene può svolgere all’interno di una comunità; da ciò è possibile far discendere una prima definizione: i beni comuni sono quei beni funzionali all’esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità e devono essere tutelati e conservati in favore delle generazioni future (testo Commissione Rodotà, 2007) In quest’ottica, non è più tanto rilevante l’appartenenza del bene (proprietà pubblica o privata), quanto la sua gestione che deve coinvolgere i soggetti interessati e garantire l’accesso aperto a tutti per l’esercizio di diritti fondamentali.


Bisogna affrontare la questione a partire da un’analisi storico-genealogica che individua nel fenomeno delle enclosures la prima forma di privatizzazione dei beni comuni e ciò si pone come condizione per la nascita del capitalismo moderno attraverso l’accumulazione originaria descritta da Marx. E così, in questa morsa, si dà «l’origine di quella opposizione complementare di pubblico e privato che disegna apparentemente senza resti la struttura politica e giuridica della modernità occidentale».
Ecco che, da questo momento, la storia dei beni comuni può essere letta in controluce come una narrazione delle sottrazioni di risorse comuni in favore dello sviluppo capitalistico; una storia che ci porta fino alle contemporanee privatizzazioni (non solo di beni materiali) ed affidamenti in gestione di servizi pubblici.



"Ma che cosa sono i “Beni comuni”: sono beni ad accesso universale, da cui nessuno può essere escluso, in quanto essenziali per la vita (connotazione positiva) e dei quali occorre assicurare il non esaurimento, in quanto beni finiti e soggetti ad esaurimento in relazione alla pressione di utilizzo individuale (diritti di solidarietà, di terza generazione). Come tali devono essere gestiti in maniera democratica, mediante forme di democrazia partecipata Ciò ha due implicazioni: l’accesso universale e la possibilità di un uso programmato nel lungo periodo. Di qui la necessità di sottrarli alla legge del profitto e di affidarne la gestione a forme pubbliche partecipate.

Alla base di questi principi vi è quindi l’appropriatezza d’uso dei servizi, dell’acqua, del territorio, delle fonti energetiche,della Cultura, dei Servizi socio-sanitari che devono essere sottratti all’egoismo proprietario, garantendone l’accesso e la durata nel tempo.

E proprio la nostra Costituzione apre larghi spazi ad una concezione basata sul riconoscimento del carattere sociale dell’attività economica anche privata e prevede la gestione pubblica delle attività di interesse collettivo" Un manifesto dei beni comuni
 
COSTITUZIONE ITALIANA
Art. 41 L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
coordinata e indirizzata a fini sociali.
Art. 42 La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono
allo Stato, ad Enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita
dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo
scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo
indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale……
Art. 43 Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente
o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad
Enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o
categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti
di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente
interesse generale.
Art. 44 Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di
stabilire equi rapporti sociali la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà
terriera privata……
Art. 45 La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione…..***
Art. 46………la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborarte,
nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende.
Art. 47 La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio…
 

mercoledì 5 novembre 2014

MATRIARCATO

post di Irene Franco



Voglio segnalare un articolo  in cui alla parte esplicativa del concetto nuovo di matriarcato, segue l'intervita alla filosofa tedesca, pioniera di studi in questo campo. Io l'ho trovato interessantissimo, di grande attualità e di grande valore, perché ha radici profonde, in società antiche. Ho pensato che potesse essere un argomento da inserire nel blog.
 

Rispetto al senso comune che spesso con­fonde il matriar­cato con un «domino delle madri», esi­ste una sto­ria del con­cetto dif­fe­rente. Il ter­mine matriar­cato signi­fica infatti «all’inizio le madri», dal più antico signi­fi­cato di arché che con­cerne l’interrogazione dell’origine, dell’inizio – sia della vita bio­lo­gi­ca­mente intesa che della comu­nità sociale -, sot­traen­dosi alla pre­va­ri­ca­zione di un genere sull’altro. Ciò per­ché il matriar­cato non ha mai neces­si­tato di sopraf­fa­zioni ege­mo­ni­che sui viventi e ha avuto una espli­ci­ta­zione sto­rica ben diversa da quella del patriar­cato.
È in que­sta strin­gente logica della defi­ni­zione che vanno letti gli esiti assunti dai moderni «Studi Matriar­cali» fon­dati alla fine degli anni Set­tanta dalla filo­sofa tede­sca Heide Goettner-Abendroth e che risul­tano cen­trali nel dibat­tito con­tem­po­ra­neo inter­na­zio­nale sul tema. continua su IL MANIFESTO

sabato 27 settembre 2014

La peste






di Albert Camus

Relazione a cura di Luisa Vecchio, V B

Nella città algerina di Orano, durante gli anni Quaranta – periodo in cui il territorio è posto sotto la dominazione francese - scoppia inesorabile un’epidemia di peste, che recide giorno dopo giorno migliaia di vite. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo e del tutto impotente di fronte alla dilagante pestilenza, la città diventa teatro dei tormenti di una società che vacilla tra disgregazione e solidarietà.

Protagonisti della vicenda sono la fede religiosa, il materialismo di chi non crede in nulla ma che comunque non è capace di “essere felice da solo”, il puro senso del dovere dell'uomo in quanto essere umano, che si scontrano con l'indifferenza, il panico e l'egoismo che governano il mondo.

Il dottor Bernard Rieux è un medico che giustifica la sua esistenza nell' esercizio della sua professione. Egli si realizza nella lotta per strappare alla morte i suoi malati e si ribella contro l' assurdità della morte che non riesce ad accettare come espiazione, come sostiene invece Paneloux, sacerdote che vede nella peste una punizione divina. Jean Tarrou è un uomo che si è reso libero prendendo in mano le redini della sua vita rifiutando di condurre una vita del tutto priva di umanità. Poi c’è Raymond Rambert, un giornalista straniero per caso nella città, che cerca con ogni mezzo di lasciare la città per ricongiungersi con la sua amata, ma che decide di rimanere a causa della consapevolezza di non poter abbandonare i suoi simili per puro egoismo. Tutti questi eroi devono dunque confrontarsi con la difficile scelta tra l’egoistico bene individuale e la genuina solidarietà verso l’essere umano.

Il tema centrale dell’opera è dunque la lotta tra bene e male. La peste sarà alla fine vinta, ma sul male che essa rappresenta non ci possono essere vittorie definitive. La drammatica vicenda - la peste ha un evidente valore simbolico - spinge i protagonisti del romanzo a cogliere i valori legati all'esistenza umana: “vi sono negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare”, afferma Camus. E questi valori sono tanto più profondi quando si riferiscono all'essere umano, al “ prossimo”: vivendo una situazione avversa, l'uomo scopre di essere accomunato agli altri uomini dagli stessi sentimenti e dalle stesse aspirazioni, primo tra tutti il desiderio di reagire alla disperazione e alla morte.

Personalmente devo dire che leggere questo libro mi ha aperto nuovi orizzonti nella riflessione sulla condizione umana, sulla nostra ragion d’essere e su quella miriade di azioni che, nel nostro piccolo, abbiamo la possibilità di compiere mentre viviamo questo meraviglioso mistero che è la vita.

domenica 21 settembre 2014

ops...un lapsus!


 di Valerio Emanuele, classe 5 B


Dopo la lettura del saggio freudiano “Psicopatologia della vita quotidiana” è aumentata la mia attenzione verso i lapsus  e riuscire ad analizzarli è stato interessante. Per questo vorrei parlare di questa sezione dell’opera e condividerla con chi non ha avuto ancora il piacere di leggerla. 

Per prima cosa il termine lapsus, di derivazione latina, ha come significato ‘scivolone’ ed è ciò che prendiamo tutte le volte in cui vorremmo dire o fare qualcosa mentre poi finiamo per farne un’altra. Come gli errori linguistici o le improvvise dimenticanze di nomi o fatti, tutte quelle situazioni che ci fanno dire: “Ce l’ho sulla punta della lingua!”. Freud li chiamava ‘atti mancati’, atti – cioè – il cui errore non va attribuito al caso e non portano-mancando quindi lo scopo- al traguardo prefissato. Questi atti mancati, o lapsus freudiani, rappresenterebbero un conflitto psichico che si genera tra ciò che vorremmo fare e le tendenze interne (inconsce) spesso contrarie al volere cosciente. Il risultato è che le tendenze inconsce vincono la coscienza, dal momento che si ha una momentanea perdita di controllo, e mettono in evidenza il desiderio sottostante. 

Sempre secondo Freud gli svariati errori, ad esempio ricordare un nome, oppure chiamare Maria con un altro nome, starebbero alla base di una sorta di compensazione. Tramite le libere associazioni, quella dimenticanza o errore spesso ci porta ad un motivo preciso che chiarisce la sostituzione. Il pensiero comune, prima di Freud, considerava il fenomeno  irrilevante mentre invece sarebbe il risultato di una serie di meccanismi ben precisi e strumenti fondamentali per comprendere meglio l’inconscio, dove si trovano i contenuti rimossi. Tali contenuti, nel loro tentativo di riemergere, sono sottoposti costantemente al controllo della censura, ma possono anche confondersi con il materiale cosciente generando compromessi, sintomi nevrotici e, appunto, lapsus. 

Ma come si interpretano questi lapsus? I lapsus sono sicuramente ottimi strumenti per prendere confidenza con le dinamiche dell’apparato psichico purché non si esageri. Sono ottimi strumenti di lettura per interpretare il significato delle manifestazioni indirette ma occorre porsi alla giusta distanza tra la negazione totale del fenomeno e l’eccessiva enfasi di esso. A chi, magari inizialmente, fosse scettico riguardo il fenomeno, Freud garantisce che il metodo psicoanalitico può essere applicato quasi a tutti i lapsus che si presentano nel parlare o nello scrivere. Un esempio dello stesso Freud potrebbe meglio spiegare il meccanismo: “Un amministratore delegato apre la seduta concludendo con: ‘… e visto che ci siamo tutti, la seduta è chiusa’ . Segno evidente che non si attendeva nulla di buono dalla discussione del consiglio."

E le dimenticanze? Secondo Freud, dimenticare ciò che si sa o si sapeva, o cosa si vorrebbe fare ma si dimentica di fare, non sarebbe legato all’importanza della cosa ma alla sensazione spiacevole che la cosa implica. Quindi faremmo una selezione delle cose da ricordare oppure dimenticare, in funzione delle relative sensazioni correlate. Quindi se una cosa è per noi spiacevole saremmo più inclini a dimenticarla. È dunque il caso della perdita di un oggetto poichè il nostro inconscio ‘nasconde’ l’oggetto alla parte cosciente – nel momento in cui ne ha la possibilità – e dunque per ritrovarlo dovremmo portare alla mente il motivo inconscio per cui l’avremmo voluto nascondere, permettendo alla coscienza di ricostruire il percorso seguito.Insomma, in termini pratici, se domani avessi italiano e dovessi consegnare un compito importante di cui però non sono sicuro, ma non ho il tempo di rivedere, è molto probabile che, se l’inconscio riesce ad avere la meglio, esso mi porterà a posare il lavoro appena finito dentro un quaderno o un libro che l’indomani non porterò e che dunque mi avrà fatto dimenticare il compito importante a casa. E sarà nel momento in cui riporterò alla mente il motivo inconscio che la parte cosciente mi rivelerà l’esatta posizione del compito, finora nascosta. 
Essenzialmente, se si fa una buona analisi, dovrebbe funzionare immediatamente, altrimenti potrebbe riaffiorare dopo qualche tempo.

Albert Camus – “Mito di Sisifo”


post di Carmelo Sgroi V H






Dopo aver svelato i segreti degli dei e aver ingannato persino la morte, Sisifo viene condannato a spingere un pesantissimo macigno sino alla sommità di una montagna; nell’attimo stesso in cui questo sforzo si completa, la pietra ricade a valle e Sisifo è costretto a ricominciare da capo. L’eroe rappresenta l’uomo che invano tenta di dare un senso alla sua esistenza tramite delle illusioni, dimenticando di essere in ogni caso un “condannato a morte” e tralasciando l’assurdo (un sentimento che nasce dallo sconforto provato dall’uomo nel momento in cui non vi è alcuna risposta alle domande esistenziali che esso si pone). Il Sisifo felice di continuare a spingere il suo masso come se la cosa avesse un suo perché è l’uomo, che attraverso le sue consuetudini s’illude di dare un senso alla vita.

Ma, al di là delle alternative (vivere accettando l’assurdo o sfuggire ad esso mediante il suicidio), tutti gli uomini trovano uguaglianza nella morte.

Al termine di tutto, nonostante tutto, vi è la morte.

Lo sappiamo, e sappiamo anche che, con essa, tutto finisce.