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mercoledì 16 aprile 2014

Etica Nicomachea e Politica


DOPO AVERE PRESENTATO LE DISCIPLINE TEORETICHE
(METAFISICA, FISICA)


PROCEDIAMO ADESSO CON LE DISCIPLINE PRATICHE
(ETICA, POLITICA)

DELLA SCIENZA ARISTOTELICA


1)  L’ETICA 




OVVERO LA VIA PER RAGGIUNGERE IL BENE SOMMO O FELICITA’ 






PER QUESTO SCOPO


E’ NECESSARIO FARE APPELLO ALL’ANIMA DELL’UOMO. 

RICORDATE LA SUA TRIPARTIZIONE? 





 

L'ANIMA VEGETATIVA, CHE PERO' NON E' IMPLICATA NELLA DIMENSIONE MORALE

L'ANIMA SENSITIVA O DESIDERATIVA (appetiti, desideri, passioni) GUIDA LE VIRTU' ETICHE (giustizia, coraggio, magnanimità,ecc.)
 sottoposte al controllo della

ANIMA RAZIONALE, cercando il giusto mezzo tra due eccessi


L'ETICA DUNQUE HA COME COMPITO QUELLO DI


creare un "abito" (habitus)  al nostro comportamento 

che si esercita con costanza attraverso la virtù

In medio stat virtus”  

in altre parole....

TUTTI NOI SIAMO CHIAMATI OGNI GIORNO AD INDOSSARE
IL "NOSTRO" ABITO


vediamo che cosa propone Aristotele in merito, apriamo il suo...... atelier etico!





 

l'educazione è fondamentale, le virtù non sono innate


L'ANIMA RAZIONALE E' SEDE DELLE VIRTU' DIANOETICHE (sapienza e saggezza)
espressione dell'eccellenza della ragione umana

La sapienza è propria dei filosofi che sono dediti alla conoscenza,
ha per oggetto l'essere necessario al di sopra dell'uomo

la saggezza può essere raggiunta anche dagli altri nella vita pratica, ha per oggetto le faccende umane mutevoli

"Ma non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, poiché è uomo e mortale, di limitarsi a pensare cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi. Infatti, sebbene per la sua massa sia piccola (la sede della sapienza), per potenza e per valore è molto superiore a tutte le altre." 

Etica Nicomachea

LE DUE SEZIONI DELL'ANIMA SONO DUNQUE COINVOLTE NELL'ETICA

E

SOLO il corretto esercizio della facoltà desiderativa (volontà) e della facoltà razionale (ragione) conduce 

alla felicità
o
eudaimonia
"essere in compagnia di un buon demone"


La virtú è dunque una disposizione che orienta la scelta deliberata, consistente in una via di mezzo rispetto a noi, determinata dalla regola, vale a dire nel modo in cui la determinerebbe l’uomo saggio. È una medietà tra due vizi, uno per eccesso e l’altro per difetto. E lo è, inoltre, per il fatto che alcuni vizi difettano, altri eccedono ciò che si deve sia nel campo delle passioni che delle azioni, mentre la virtú e ricerca e sceglie deliberatamente il medio.

Aristotele, Etica Nicomachea


VIDEOLEZIONE 5 MINUTI






altre mappe sono disponibili su Aristotele e la filosofia antica

Nel comportamento etico va compresa la pratica dell'amicizia

tre sono le forme di amicizia presentate dal filosofo
nell'Etica Nicomachea (TESTO)



LA DOTTRINA DELL'AMICIZIA


L'AMICIZIA
POWER POINT


riflessioni DAL DE AMICITIA



2) LA POLITICA


L'UOMO COME ZOON POLITIKON






                      



lunedì 14 aprile 2014

IL PRINCIPIO RESPONSABILITA'




Il filosofo tedesco Hans Jonas (1903-1993), di origine ebraica, fu costretto dall’avvento del nazismo a emigrare prima in Inghilterra, poi in Palestina, quindi negli Stati Uniti. 

Nell'opera Principio responsabilità (1979) propone un’«etica per la civiltà tecnologica». 

La crescita smisurata del potere della tecnica, sostiene, rende necessario un nuovo imperativo categorico: «agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra». Formulazioni equivalenti sono: «agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita»; oppure: «non mettere in pericolo le possibilità di sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra»; oppure ancora: «includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà». 

Questo imperativo si distingue da quello kantiano perché: 

1) deve guidare non solo la sfera privata, ma anche e soprattutto la sfera pubblica (e Jonas è favorevole a un forte intervento dello Stato nelle questioni bioetiche); 
2) ha, secondo Jonas, una fondazione metafisico-ontologica. Jonas infatti rifiuta il divieto di Hume (secondo cui non si deve passare dall’“è” al “dovrebbe essere”, cioè dai fatti ai valori) e afferma, in una prospettiva neoaristotelica, che vi è un “dover essere” intrinseco all’“essere”: la vita contiene in sé il fine della conservazione della vita. 
Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l’economia imprime un impulso incessante, esige un’etica che mediante auto-restrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per l’uomo. 
La consapevolezza che le promesse della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia, o che questa si è indissolubilmente congiunta a quelle, costituisce la tesi da cui prende le mosse questo volume. Essa va al di là della constatazione della minaccia fisica. 
La sottomissione della natura finalizzata alla felicità umana ha lanciato con il suo smisurato successo, che coinvolge ora anche la natura stessa dell’uomo, la più grande sfida che sia mai venuta all’essere umano dal suo stesso agire. Tutto è qui nuovo, dissimile dal passato sia nel genere che nelle dimensioni: ciò che l’uomo è oggi in grado di fare e, nell’irresistibile esercizio di tale facoltà, è costretto a continuare a fare, non ha eguali nell’esperienza passata, alla quale tutta la saggezza tradizionale sul comportamento giusto era improntata. 
Nessuna etica tradizionale ci ammaestra quindi sulle orme del «bene» e del «male» alle quali vanno subordinate le modalità interamente nuove del potere e delle sue possibili creazioni. 
La terra vergine della prassi collettiva, in cui ci siamo addentrati con l’alta tecnologia, è per la teoria etica ancora terra di nessuno.(...)
All’immodestia dei suoi (dell'utopismo) obiettivi, che mancano il bersaglio sotto il profilo sia ecologico che antropologico (com’è dimostrabile per l’uno e argomentabile filosoficamente per l’altro), il principio responsabilità contrappone il compito più modesto, dettato dalla paura e dal rispetto, di preservare all’uomo, nella residua ambiguità della sua libertà, che nessun mutamento delle circostanze può mai sopprimere, l’integrità del suo mondo e del suo essere contro gli abusi del suo potere. 

H. Jonas,1979, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica,
a cura di P.P. Portinaro, Torino, Einaudi, 1993, 
Prefazione, pp. XXVII-XXIX

Manifesto del Fondo Ambiente Italiano, nato nel 1975 per la tutela dei beni naturali e storico-artistici


PER RIFLETTERE:
Cosa significa l’affermazione: 
«La terra vergine della prassi collettiva, in cui ci siamo addentrati con l’alta tecnologia, è per
la teoria etica ancora terra di nessuno» ?

Perché la responsabilità si contrappone all’utopia? 
Esiste a tuo parere un punto di convergenza tra la posizione di Jonas e quella di Adorno e Horkheimer?
Quali differenze andrebbero invece evidenziate? 

Prova a considerare il concetto di "civiltà" nelle diverse 
prospettive filosofiche del Novecento a te note
(Freud, Scuola di Francoforte, Jonas, altri autori...)

giovedì 10 aprile 2014

la trionfale sventura






Secondo Horkheimer e Adorno, teorici della Scuola di Francoforte, lo sviluppo di una razionalità di tipo tecnico-strumentale ha permesso all’uomo, obbediente al motto baconiano “sapere è potere”, di liberarsi dalla soggezione ai fenomeni naturali e di progredire nelle condizioni materiali di vita. 

Il frutto di tale progresso, tuttavia, è una drammatica alienazione dell’uomo nei confronti della natura stessa e dei propri simili, nella misura in cui non è più possibile un rapporto uomo-natura o uomo-uomo che non sia all’insegna del dominio.




L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. 

Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura.[1]



[1]
M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997 p. 12.


Magnus Zeller, Lo stato totalitario, 1938 Berlino



L'analisi è centrata sulla società industriale avanzata, in cui l'apparato tecnico di produzione e di distribuzione (con un settore sempre più ampio in cui predomina l'au­tomazione) funziona non come la somma di semplici stru­menti, che possono essere isolati dai loro effetti sociali e politici, ma piuttosto come un sistema che determina a priori il prodotto dell'apparato non meno che le operazio­ni necessarie per alimentarlo ed espanderlo. In questa so­cietà l'apparato produttivo tende a diventare totalitario  nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni,  le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. In tal modo esso  dissolve l'opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica, tra i bisogni individuali e quelli sociali. 
La tec­nologia serve per istituire nuove forme di controllo socia­le e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli. 
La ten­denza totalitaria di questi controlli sembra affermarsi in un altro senso ancora - diffondendosi nelle aree meno svi­luppate e persino nelle aree preindustriali del mondo, 
creando aspetti simili nello sviluppo del capitalismo e del co­munismo.

Di fronte ai tratti totalitari di questa società, la nozio­ne tradizionale della «neutralità» della tecnologia non può più essere sostenuta. La tecnologia come tale non può essere isolata dall'uso cui è adibita; la società tecno­logica è un sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elabo­rate.


Herbert Marcuse, L'uomo a una dimensione, 1964


Secondo Andy Warhol, uno dei più grandi esponenti della Pop art ,l'arte veniva  "consumata" come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Egli  riusciva a svuotare di ogni significato le immagini che rappresentava proprio con la ripetizione dell'immagine stessa su vasta scala
L'arte ha perso la sua "aura"

Andy Warhol, Marilyn Monroe, 1967






il disagio della civiltà





L’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace, al massimo, di
difendersi se viene attaccata; [...] occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una
buona dose di aggressività.
Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale
aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività,
a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza
il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire,
a torturarlo e a ucciderlo. 

Homo homini lupus: chi ha coraggio di contestare quest’affermazione
dopo tutte le esperienze della vita e della storia?
Questa crudele aggressività
è di regola in attesa di una provocazione, oppure si mette al servizio di qualche altro
scopo, che si sarebbe potuto raggiungere anche con mezzi più benigni. In circostanze
che le sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che ordinariamente la inibiscono
cessano d’operare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela nell’uomo una
bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto per la propria specie.

L’esistenza di questa tendenza all’aggressione, che possiamo scoprire in noi stessi e
giustamente supporre negli altri, è il fattore che turba i nostri rapporti col prossimo e
obbliga la civiltà a un grande dispendio di forze. 

Per via di questa ostilità primaria degli
uomini tra loro, la società incivilita è continuamente minacciata di distruzione. Gli interessi
della comunione di lavoro non bastano a tenerla unita: i moti pulsionali disordinati
sono più forti degli interessi razionali. 

La civiltà deve far di tutto per porre limiti alle
pulsioni aggressive dell’uomo, per rintuzzarne la vivacità mediante formazioni psichi-
che reattive. Di qui l’impiego di metodi intesi a provocare negli uomini identificazioni e
relazioni amorose inibite nella meta, di qui le restrizioni della vita sessuale, di qui, anche,
il comandamento ideale di amare il prossimo come se stessi, che ha giustificazione reale
nel fatto che nessun’altra cosa va tanto contro la natura umana originaria. 
Nonostante
tutte le sue fatiche, questo sforzo della civiltà non ha finora ottenuto gran che. La civiltà
spera di prevenire i peggiori eccessi della forza bruta conferendo a se stessa il diritto di
impiegare la violenza contro i criminali, ma la legge non può mettere le mani sulle manifestazioni
più discrete e sottili dell’aggressività umana.
[...]
Se la civiltà impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualità ma anche all’aggressività
dell’uomo, allora intendiamo meglio perché egli stenti a trovare la sua felicità in essa.
Di fatto l’uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale.
In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo
civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza.

[...]
La tendenza aggressiva è nell’uomo una disposizione pulsionale originaria e indipendente;
torno ora all’asserzione che la civiltà trova in essa il suo più grave ostacolo.

A un certo punto nel corso di questa disamina credemmo di capire che l’incivilimento
fosse un processo peculiare al quale l’umanità è sottoposta e noi restiamo fedeli a
quest’idea. Aggiungiamo che si tratta di un processo al servizio dell’Eros, che mira a
raccogliere prima individui sporadici, poi famiglie, poi stirpi, popoli, nazioni, in una
grande unità: il genere umano. Perché ciò debba accadere non lo sappiamo; è appunto
opera dell’Eros. Queste moltitudini devono essere legate l’una all’altra libidicamente;
la necessità sola, i vantaggi del lavoro in comune non le terrebbero insieme.

Ma a questo programma della civiltà si oppone la naturale pulsione aggressiva
dell’uomo, l’ostilità di ciascuno contro tutti e di tutti contro ciascuno. Questa pulsione
aggressiva è figlia e massima rappresentante della pulsione di morte, che abbiamo
trovato accanto all’Eros e che ne condivide il dominio sul mondo.
 Ed ora, mi sembra,
il significato dell’evoluzione civile non è più oscuro. 
Indica la lotta tra Eros e Morte,
tra pulsione di vita e pulsione di distruzione, come si attua nella specie umana. 
Questa
lotta è il contenuto essenziale della vita e perciò l’evoluzione civile può definirsi in
breve come la lotta per la vita della specie umana.

S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur (1929), trad. it. di E. Sagittario, 
Il disagio della civiltà, in Opere,
Torino, Bollati Boringhieri, vol. 10, pp. 238-241, 243, 246-247, 250, 257

sabato 5 aprile 2014

quando la natura sembra un'opera d'arte



" La natura era bella, quando aveva apparenza d’arte; e l’arte può dirsi bella solo quando, pur essendo consapevoli che si tratta d’arte, ci appare come natura."


Immanuel Kant

la paura del nostro presente secondo Bauman





Per Zygmunt Bauman, sociologo polacco trapiantato a Leeds- Inghilterra, l'origine di tutte le paure che percorrono il nostro presente è il declino, la scomposizione e la scomparsa dell’organizzazione economica, sociale, e anche politica, che andava sotto il nome di «fordismo», da intendersi come il sostrato industriale che reggeva l’intero edificio. Questa base irradiava sicurezze e solidità nel corpo sociale. E ciò avveniva, sì, anche grazie alla redistribuzione della ricchezza ad opera di uno Stato capace di provvedere alla copertura di molti bisogni, ma il «nucleo centrale» di quella forza irradiante era sopra ogni altra cosa la «protezione» che esso forniva, in forma di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali. 

Fordismo e solidità. Lo Stato e la società occidentale dell’epoca fordista, che si sono cominciati a incrinare negli anni Settanta del secolo scorso e che hanno poi subito i colpi della «fase uno» (anni Ottanta) e della «fase due» (gli anni correnti) della deregulation-individualizzazione, offrivano non solo una diretta manifestazione della loro forza stabilizzante nei confronti degli individui, ma anche il contesto di una solidarietà operaia, sindacale, professionale, che scaturiva dall’organizzazione produttiva: la fabbrica fordista era la «esemplificazione dello scenario di modernità solida in cui si stagliava la maggior parte degli individui privi di altro capitale». Quello era il luogo dei conflitti tra capitale e lavoro in una relazione, ostile, ma di «lungo termine». E questa caratteristica consentiva agli individui «di pensare e fare progetti per il futuro».
  
Esposti ai colpi del destino. Il conflitto era insomma un investimento ragionevole e un sacrificio «che avrebbe dato i suoi frutti», mentre la condizione attuale, la volatilità globale dell’economia, fa apparire i tentativi di ripetere analoghi conflitti con analoghi strumenti un gioco nostalgico molto povero di senso. L’esaurirsi di quella fase, dovuta alla pressione di forze globali, e indipendente dalle politiche dei singoli Stati, ha trasformato la nostra vita, ci ha reso «società aperta», ma non nel senso popperiano di società libera, ma piuttosto nel senso di società «esposta ai colpi del destino».
Anche il capitale politico è «liquido» e pronto a qualsiasi investimento e coglie con prontezza le possibilità di profitti che la paura offre in misura crescente. Grandi investimenti si profilano di fronte allo scricchiolare della sovranità di quel Leviatano che aveva costruito la sua forza e legittimazione proprio sulla paura (ma restituendo protezione e sicurezza). 

Esiste una risposta ragionevole a tutto questo? 
Secondo Bauman la vittoria sulle insidie della paura è da cercare sopra i confini nazionali, in una Europa sociale e, a livello mondiale, nella creazione e nel rafforzamento di istituzioni internazionali capaci di controllare i rischi. Lungo cammino, ma senza alternative.


giovedì 3 aprile 2014

Olympe de Gouges, una donna per le donne

post di Syria Magro
classe 4 H



La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791)

con l'opera e la figura di


OLYMPE DE GOUGES


per approfondire Syria propone anche le sue schede storiche su:

RIVOLUZIONE FRANCESE

NAPOLEONE BONAPARTE

IL CONGRESSO DI VIENNA