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giovedì 10 aprile 2014

il disagio della civiltà





L’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace, al massimo, di
difendersi se viene attaccata; [...] occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una
buona dose di aggressività.
Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale
aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività,
a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza
il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire,
a torturarlo e a ucciderlo. 

Homo homini lupus: chi ha coraggio di contestare quest’affermazione
dopo tutte le esperienze della vita e della storia?
Questa crudele aggressività
è di regola in attesa di una provocazione, oppure si mette al servizio di qualche altro
scopo, che si sarebbe potuto raggiungere anche con mezzi più benigni. In circostanze
che le sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che ordinariamente la inibiscono
cessano d’operare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela nell’uomo una
bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto per la propria specie.

L’esistenza di questa tendenza all’aggressione, che possiamo scoprire in noi stessi e
giustamente supporre negli altri, è il fattore che turba i nostri rapporti col prossimo e
obbliga la civiltà a un grande dispendio di forze. 

Per via di questa ostilità primaria degli
uomini tra loro, la società incivilita è continuamente minacciata di distruzione. Gli interessi
della comunione di lavoro non bastano a tenerla unita: i moti pulsionali disordinati
sono più forti degli interessi razionali. 

La civiltà deve far di tutto per porre limiti alle
pulsioni aggressive dell’uomo, per rintuzzarne la vivacità mediante formazioni psichi-
che reattive. Di qui l’impiego di metodi intesi a provocare negli uomini identificazioni e
relazioni amorose inibite nella meta, di qui le restrizioni della vita sessuale, di qui, anche,
il comandamento ideale di amare il prossimo come se stessi, che ha giustificazione reale
nel fatto che nessun’altra cosa va tanto contro la natura umana originaria. 
Nonostante
tutte le sue fatiche, questo sforzo della civiltà non ha finora ottenuto gran che. La civiltà
spera di prevenire i peggiori eccessi della forza bruta conferendo a se stessa il diritto di
impiegare la violenza contro i criminali, ma la legge non può mettere le mani sulle manifestazioni
più discrete e sottili dell’aggressività umana.
[...]
Se la civiltà impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualità ma anche all’aggressività
dell’uomo, allora intendiamo meglio perché egli stenti a trovare la sua felicità in essa.
Di fatto l’uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale.
In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo
civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza.

[...]
La tendenza aggressiva è nell’uomo una disposizione pulsionale originaria e indipendente;
torno ora all’asserzione che la civiltà trova in essa il suo più grave ostacolo.

A un certo punto nel corso di questa disamina credemmo di capire che l’incivilimento
fosse un processo peculiare al quale l’umanità è sottoposta e noi restiamo fedeli a
quest’idea. Aggiungiamo che si tratta di un processo al servizio dell’Eros, che mira a
raccogliere prima individui sporadici, poi famiglie, poi stirpi, popoli, nazioni, in una
grande unità: il genere umano. Perché ciò debba accadere non lo sappiamo; è appunto
opera dell’Eros. Queste moltitudini devono essere legate l’una all’altra libidicamente;
la necessità sola, i vantaggi del lavoro in comune non le terrebbero insieme.

Ma a questo programma della civiltà si oppone la naturale pulsione aggressiva
dell’uomo, l’ostilità di ciascuno contro tutti e di tutti contro ciascuno. Questa pulsione
aggressiva è figlia e massima rappresentante della pulsione di morte, che abbiamo
trovato accanto all’Eros e che ne condivide il dominio sul mondo.
 Ed ora, mi sembra,
il significato dell’evoluzione civile non è più oscuro. 
Indica la lotta tra Eros e Morte,
tra pulsione di vita e pulsione di distruzione, come si attua nella specie umana. 
Questa
lotta è il contenuto essenziale della vita e perciò l’evoluzione civile può definirsi in
breve come la lotta per la vita della specie umana.

S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur (1929), trad. it. di E. Sagittario, 
Il disagio della civiltà, in Opere,
Torino, Bollati Boringhieri, vol. 10, pp. 238-241, 243, 246-247, 250, 257

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