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sabato 5 aprile 2014

la paura del nostro presente secondo Bauman





Per Zygmunt Bauman, sociologo polacco trapiantato a Leeds- Inghilterra, l'origine di tutte le paure che percorrono il nostro presente è il declino, la scomposizione e la scomparsa dell’organizzazione economica, sociale, e anche politica, che andava sotto il nome di «fordismo», da intendersi come il sostrato industriale che reggeva l’intero edificio. Questa base irradiava sicurezze e solidità nel corpo sociale. E ciò avveniva, sì, anche grazie alla redistribuzione della ricchezza ad opera di uno Stato capace di provvedere alla copertura di molti bisogni, ma il «nucleo centrale» di quella forza irradiante era sopra ogni altra cosa la «protezione» che esso forniva, in forma di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali. 

Fordismo e solidità. Lo Stato e la società occidentale dell’epoca fordista, che si sono cominciati a incrinare negli anni Settanta del secolo scorso e che hanno poi subito i colpi della «fase uno» (anni Ottanta) e della «fase due» (gli anni correnti) della deregulation-individualizzazione, offrivano non solo una diretta manifestazione della loro forza stabilizzante nei confronti degli individui, ma anche il contesto di una solidarietà operaia, sindacale, professionale, che scaturiva dall’organizzazione produttiva: la fabbrica fordista era la «esemplificazione dello scenario di modernità solida in cui si stagliava la maggior parte degli individui privi di altro capitale». Quello era il luogo dei conflitti tra capitale e lavoro in una relazione, ostile, ma di «lungo termine». E questa caratteristica consentiva agli individui «di pensare e fare progetti per il futuro».
  
Esposti ai colpi del destino. Il conflitto era insomma un investimento ragionevole e un sacrificio «che avrebbe dato i suoi frutti», mentre la condizione attuale, la volatilità globale dell’economia, fa apparire i tentativi di ripetere analoghi conflitti con analoghi strumenti un gioco nostalgico molto povero di senso. L’esaurirsi di quella fase, dovuta alla pressione di forze globali, e indipendente dalle politiche dei singoli Stati, ha trasformato la nostra vita, ci ha reso «società aperta», ma non nel senso popperiano di società libera, ma piuttosto nel senso di società «esposta ai colpi del destino».
Anche il capitale politico è «liquido» e pronto a qualsiasi investimento e coglie con prontezza le possibilità di profitti che la paura offre in misura crescente. Grandi investimenti si profilano di fronte allo scricchiolare della sovranità di quel Leviatano che aveva costruito la sua forza e legittimazione proprio sulla paura (ma restituendo protezione e sicurezza). 

Esiste una risposta ragionevole a tutto questo? 
Secondo Bauman la vittoria sulle insidie della paura è da cercare sopra i confini nazionali, in una Europa sociale e, a livello mondiale, nella creazione e nel rafforzamento di istituzioni internazionali capaci di controllare i rischi. Lungo cammino, ma senza alternative.


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