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mercoledì 6 novembre 2013

finalismo e meccanicismo





"Il tema è rappresentato dalle diverse posizioni, nel Seicento, rispetto alle cosiddette cause finali.

Parto dai modelli già definiti nell’antichità. Ad Aristotele si deve la teorizzazione di quattro tipi di relazioni causali, che reggerà per molti secoli. La riflessione di A. si concentra sul finalismo interno agli organismi, secondo cui, ad esempio, l’occhio è strutturato in quel certo modo per poter vedere: si tratta di un finalismo inconsapevole e per così dire spontaneo. Accanto ad esso, nei casi che illustra, A. espone spesso (forse per motivi essenzialmente didattici, come il più familiare) un altro genere di finalismo, questa volta “esterno” e consapevole: quello dell’artefice, ad esempio lo scultore, che interviene sulla materia per darle una determinata forma.
Di questo secondo genere di finalismo, attribuito questa volta a un dio, il caso più elaborato, nell’antichità, era quello del demiurgo platonico, nel Timeo, che plasma la materia caotica per tradurla in cosmo.

In epoca cristiana, Tommaso d’Aquino riprende la quadripartizione aristotelica, traducendola in un panfinalismo che consegna a tutta la Scolastica: ogni livello di realtà ha un diverso tipo di finalismo, consapevole nell’animale, inconsapevole e interno negli organismi, esterno nell’inorganico (caso, quest’ultimo non elaborato e forse non ammesso da Aristotele), illustrato, questo, da T. con l’es. della freccia, che si dirige verso un bersaglio grazie all’azione intenzionale dell’arciere. Il modello dell’arciere e della freccia è anche metafora del rapporto Dio/mondo: ogni genere di finalismo dipende infatti in ultima analisi dalla progettualità divina. 
La presenza delle cause finali nel mondo costituisce una delle prove dell’esistenza di Dio.
Fin dall’antichità era esistito anche un modello opposto, sostenuto in particolare dall’epicureismo. Per Lucrezio, il rapporto organo/funzione negli organismi va capovolto, rispetto alla spiegazione aristotelica: l’occhio non è fatto per vedere, bensì vede perché è costituito in quel determinato modo; ossia alla causalità finale si sostituisce la causalità efficiente. Altrettanto vale per l’intero universo, che ha questo assetto grazie ad un’aggregazione casuale di atomi. Questa argomentazione è completata dal ricorso alla selezione naturale: organismi imperfetti, costituiti in modo da non poter svolgere le proprie funzioni vitali – prodotti anch’essi da aggregazioni casuali di atomi – sono via via per ciò stesso scomparsi. Durante il medioevo, fino al suo ritrovamento nel 1400, del De rerum natura si perse traccia, come accadde anche ad altri testi che esprimevano concezioni decisamente alternative ai modelli dominanti nella cultura cristiana.

Nel Seicento la Rivoluzione scientifica introdusse il meccanicismo come modello dominante. Il meccanicismo si basa sulle nozioni di materia qualitativamente omogenea e di movimento esclusivamente locale: il moto si comunica da un corpo all’altro attraverso un urto. Dietro a questa concezione, la duplice riduzione operata da Galileo: 
1) la materia è dotata di proprietà esclusivamente quantitative, le proprietà sensibili (odori, colori, caldo e freddo ecc.) sono solo il modo in cui noi percepiamo i corpi grazie alla diversità dei loro moti (così nel Saggiatore); 
2) il moto è esclusivamente locale e un corpo non muove verso una meta (non avrebbe senso in uno spazio indefinito – senza centro, dice G. - o forse addirittura infinito), quello che conta sono il suo punto di partenza, la sua traiettoria, la sua velocità.
Il meccanicismo esclude dunque qualsiasi finalismo interno, non esclude affatto che questo assetto dei fenomeni dipenda da un progetto divino. "



Anna Belgrado
Meccanicismo e finalismo nella filosofia del ’600





Il termine “teleologia” è
relativamente recente. Al pari di alcuni altri termini del lessico filosofico fu coniato
nel XVIII secolo da Christian Wolff.  Secondo il senso etimologico “teleologia” ha
a che fare con un “telos”, cioè con un fine o con uno scopo.
A questo punto dobbiamo cogliere un’importante differenza, quella fra teleologia
interna ed esterna.
Il testo filosofico di riferimento per la teleologia esterna è il Timeo
di Platone. Qui - in un certo qual modo in analogia filosofica rispetto al dio creatore
biblico - si narra di un demiurgo divino, buono e sapiente, il quale avrebbe creato il
mondo attuale sulla base del modello dell’ottimo mondo eterno. Ciò significa che il
mondo attuale deve all’intervento demiurgico dall’esterno quanto di buono esso possiede.
Il rappresentante classico della teleologia interna è Aristotele. 
In generale, Aristotele
è anche il primo vero teorico della scienza. 
Secondo Aristotele abbiamo una
comprensione scientifica di qualcosa, quando ne conosciamo le cause o i princípi,
quando insomma siamo in grado di rispondere alla domanda sul perché c’è l’oggetto
o il processo in questione.  


Si parla  di “teleologia”, quando con una
domanda sul perché si mira a stabilire che esistono in natura oggetti e processi, la cui
esistenza si lascia spiegare unicamente in virtù del fatto che essi contribuiscono al raggiungimento
di uno scopo, del fatto che, in altre parole, essi sono orientati verso un
fine.

Quando ci chiediamo: “perché il cuore pompa sangue?”, la risposta comincia con
la formula “affinché…” o con un’altra espressione linguistica dal valore finale. Una
tale spiegazione con “affinché” o con un’espressione iniziale equivalente, tuttavia, non
si riferisce in alcun modo per Aristotele a un’essenza razionale che agisce dall’esterno
sull’organismo.


E’ a questa tradizione aristotelica, quella in cui si muovono oggi le spiegazioni teleologiche,
che risalgono alla teoria evoluzionistica darwiniana. Indubbiamente nella
maggior parte dei casi non viene più usato al riguardo il termine “teleologico”. Per
evitare confusioni, si parla piuttosto di spiegazione “funzionale”

da Finalismo, meccanismo, funzionalismo:
che cosa è una spiegazione biologica

Gereon Wolters

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