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venerdì 30 gennaio 2015

hannah arendt: la banalità del male


Filosofa e studiosa di teoria della politica (Hannover 1906 - New York 1975), Hannah Arendt fu
allieva di E. Husserl, K. Jaspers e M. Heidegger. Dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo e
l'inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunità ebraiche, Hannah abbandona la Germania
nel 1933 attraversando il cosiddetto "confine verde" delle foreste della Erz. Passando per Praga,
Genova e Ginevra giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter
Benjamin e il filosofo e storico della scienza Alexander Koiré. Fino al 1951, anno in cui le verrà
concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici. 


Nel 1961 Hannah Arendt seguì le 120 sedute del processo Eichmann come inviata del settimanale New
Yorker a Gerusalemme. Adolf Eichmann aveva coordinato durante il nazismo
l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio
ma era scampato alla cattura dei gerarchi e collaboratori. Nel maggio 1960 agenti israeliani lo
catturarono in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme. Processato da un
tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato "soltanto di
trasporti" Più volte ripetè, sorprendendo i giudici, di avere letto Kant e di aver applicato (certo in
modo assolutamente originale e mai così lontano dallo spirito dell’autore, segno già questo di
assenza di capacità di elaborazione e riflessione autonoma) la formula dell’imperativo categorico. In verità,
sottolineerà Arendt: “l’aveva distorta facendola divenire “agisci come se il principio delle tue
azioni fosse quello stesso del legislatore o della legge del tuo paese”. Eichmann fu condannato a
morte mediante impiccagione e la sentenza fu eseguita il 31 maggio del 1962.
 


Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono pubblicate sulla rivista
e poi riunite nel 1963 nel libro "La banalità del male" (Eichmann a Gerusalemme).In questo libro
Hannah Arendt analizza la “normalità” del male nella società odierna con le sue nefaste
conseguenze ma sottolinea anche l’importanza della facoltà di pensare che può evitare le azioni
malvagie, ripristinando una fiducia nell’esercizio del pensiero anche a fondamento dell’etica.

“ Una mezza dozzina di psichiatri lo aveva dichiarato "normale", e uno di questi, si dice, aveva
esclamato addirittura: "Più normale di quello che sono io dopo che l'ho visitato", mentre un altro
aveva trovato che tutta la sua psicologia, tutto il suo atteggiamento verso la moglie e i figli, verso
la madre, il padre, i fratelli, le sorelle e gli amici era "non solo normale, ma ideale".
(….)Non era stupido, era semplicemente senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella
mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono
innati nell'uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione
del fenomeno, né una teoria”.

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