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lunedì 5 gennaio 2015

sulla tristezza

post di Margherita Alessio, classe 4 E

“è un languore sgradevole in cui consiste il disagio che l’anima riceve dal male” 

così Cartesio definì la tristezza nella sua opera “Le passioni dell’anima”.


Ancora oggi noi, a distanza di secoli, descriviamo questo stato d’animo come causato da un avvenimento negativo, drammatico, maligno, opposto alla gioia e alla felicità, quindi al godimento del bene.
Tuttavia questo sentimento può essere provato anche in condizioni normali,  senza essere necessariamente indotto dal male. Ad ognuno di noi è capitato di chiudersi, da un momento all’altro e senza un apparente motivo, in questa condizione di nostalgia e malinconia che stringe il cuore e la mente in una morsa da cui è difficile liberarsi. Finiamo per essere schiavi di questa passione opprimente e schiacciante: parole di conforto, provare a non pensare, occupare la mente con altri pensieri si trasformano in tentativi vani e diveniamo costretti ad accogliere il nostro dolore con sottomissione fino al superamento di esso. 

Questa condizione di tristezza è però diventata inadeguata per la società odierna, poiché tutti abbiamo il diritto e il dovere di essere felici. Ma c’è veramente qualcosa di sbagliato nel non esserlo? Dobbiamo tener conto che molti pittori, poeti, musicisti hanno prodotto le loro migliori opere in momenti di grande tristezza e malinconia. Così come la felicità, anch’essa può essere considerata una “musa ispiratrice”. L’amore non corrisposto, il senso di inadeguatezza, il dolore per una perdita, l’insoddisfazione verso la propria vita, sono alcuni dei temi principali della letteratura e dell’arte passata e presente.





Lo SPLEEN di Baudelaire e il MAL DI VIVERE di Leopardi

La parola spleen, di origine greca, rappresenta in francese la tristezza meditativa o la melanconia. 
Nonostante questo termine fosse già utilizzato nella letteratura del Romanticismo, venne reso famoso durante il Decadentismo (metà Ottocento/primi del Novecento) dal poeta Charles Baudelaire.



Sotto il nome di “Spleen” sono presenti quattro componimenti nella prima sezione del suo libro “I fiori del male”, di cui l’ultimo è il più significativo.

« Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio,
e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte
fa del dì una tristezza più nera della notte[…]”

In questa lirica viene raggiunta la massima angoscia di Baudelaire nei confronti di un Mondo da cui non si sente accettato e che non riesce a trasformare. Nella sua condizione di estraneo, il poeta conferisce ai versi un tono forte ed espressivo, che comunica un male fisico oltre che psicologico, nonché un senso di soffocante chiusura. Questa prima parte della poesia descrive il momento in cui il cielo è nuvoloso e anche noi sentiamo un senso di pesantezza di timore  verso ciò che è nettamente predominante e incontrollabile. Questo ci fa capire che la tristezza può essere provocata anche da fattori esterni come il cielo, che con i suoi colori e i suoi mutamenti riesce a trasmetterci determinate sensazioni, dalle quali non possiamo fuggire.
Pur sembrando molto simili, lo spleen e il taedium vitae leopardiano differiscono per alcuni aspetti.



Per Leopardi il fine dell’uomo è raggiungere il piacere, inteso come infinito e assoluto, un piacere che l’uomo non  riesce a raggiungere. Da qui scaturisce la sua condizione di infelicità e il suo rapporto con la Natura. Essa ci appare inizialmente  benigna, poiché ci ha donato la vita e ci ha creati, ma successivamente rivela il suo volto maligno.
Per Leopardi l’unica soluzione diventa l’immaginazione. La felicità è data non dalla conoscenza del vero, bensì dalla sua ignoranza; sapere di più significa soffrire di più, e chi aumenta la conoscenza aumenta anche il dolore.
La realtà è banale e maligna, vere sono solo le illusioni, ossia le speranze, di cui l’umanità si nutre e che non può abbandonare senza cadere nella disperazione.
Questa forma di pensiero porta Leopardi a vivere tre diversi tipi di pessimismo:

Il pessimismo individuale, poiché egli si sente già vecchio a causa delle sue condizioni di salute.
Il pessimismo stoico, inteso come allontanamento dall’originaria condizione di felicità.
Il pessimismo cosmico, derivante dalla consapevolezza dell’infelicità dell’uomo, sia antico che moderno.


In definitiva, lo spleen  non produce riflessività sulla condizione umana, ma si esprime a livello artistico con la descrizione degli effetti opprimenti e terribili dell'angoscia esistenziale. Rappresenta uno stato di depressione cupa, angosciosa, dal quale è impossibile sfuggire.

“Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni.”



PENSIERO MALINCONICO






  Francesco Hayez, “Pensiero malinconico”, 1842,
olio su tela, 135 x 98 cm, Milano, Pinacoteca di Brera.


Francesco Hayez è stato uno pittore italiano, massimo esponente del Romanticismo storico.
Molte sue opere sono criptate, nascondono quindi un messaggio nascosto, specialmente politico.
In quegli anni infatti era severamente vietato trattare o raffigurare determinati argomenti, così decise di camuffarli trasponendoli in epoche passate (es. Il Bacio).
Il dipinto “Pensiero malinconico” rappresenta una fanciulla presa dalla malinconia.
Come in altri quadri di Hayez, viene ripersa un’ambientazione medievale, come possiamo vedere dalla parete nuda posta alle sue spalle che suggerisce la presenza di un castello o un antico palazzo, un ambiente scarno e vuoto.
Lo sguardo scuro e cupo della donna, insieme alla veste grigio-celeste e camicia sottostante calate sulla spalla sinistra, stanno a sottolineare una caduta dell’equilibrio emotivo, che tende a scendere verso la tristezza o la depressione.
Molto importante è il dettaglio sulla sinistra, quello del vaso; al suo interno sono presenti fiori dal forte odore (quali le rose e i gigli), ma quasi del tutto appassiti, una sorta di autunno dei sentimenti.
Dei petali e una foglia caduti suggeriscono, con la loro definitiva separazione dalla vita, la scomparsa della gioia.
Secondo alcuni i dipinto viene allegoricamente interpretato come la necessità di un risveglio dell’Italia (la fanciulla a appare infatti disinteressata e “decadente”)

La tristezza vissuta attraverso le canzoni, o l’arte, fa sicuramente meno paura e ci aiuta ad affrontare le emozioni negative in maniera più tenue.
È paradossale, se ci fermiamo a riflettere, ascoltare musica triste quando si è tristi. Eppure siamo consapevoli che se ascoltassimo canzoni “allegre” non ci sentiremmo in sintonia con esse.
Parlo di canzoni per convenzione, perché ci sono milioni di altri suoni o rumori che hanno la capacità di alleviare il malessere dell’anima quando è pervasa dalla tristezza: l’infrangersi delle onde sulla spiaggia, le fronde degli alberi mosse dal vento, il tintinnio della pioggia sull’asfalto.

“La musica è una legge morale, essa dà un'anima all'universo, le ali al pensiero, uno slancio all'immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose.”
                                                  
Platone

  “Sono così stanco di stare qui
Soffocato da tutte le mie infantli paure
E se devi partire
Desidero che tu possa farlo
Perchè ancora la tua presenza indugia qui
E non vuole lasciarmi solo
Sembra che queste ferite non possano guarire
Che questo dolore sia troppo reale
Ce n'è così tanto che nemmeno il tempo potrà cancellarlo.”
Evanescence - My Immortal

“Tutti morimmo a stento
ingoiando l'ultima voce
tirando calci al vento
vedemmo sfumare la luce.
L'urlo travolse il sole
l'aria divenne stretta
cristalli di parole
l'ultima bestemmia detta. “


Fabrizio De Andrè - La ballata degli impiccati

“Non affliggerti, non abbassare la testa.
Ti prego non piangere
So quello che provi, anch’io
Anch’io l’ho provato
Qualcosa cambia dentro di te
E non lo sai”

Guns n’Roses – Don’t cry

post di Daniel Giuffrida, 4 E

La tristezza è, in musica, l’emozione forse più minuziosamente sondata e descritta in tutti le sue sfumature: dal languore dell’infelicità amorosa alla malinconia per la perdita o l’abbandono. Una canzone che  parla della tristezza che procura il congedo da chi si ama (“every time we say goodbye I die a little”).  Questa bellissima canzone,  in un preciso passaggio, sia lirico sia melodico, distilla il più profondo degli struggimenti.  Lo fa nel punto in cui recita “How strange the change from major to minor every time we say goodbye” (che strano il cambio da “maggiore” a “minore” ogni volta che ci congediamo”). Esattamente in corrispondenza delle parole “change from major to minor” c’è un cambio melodico da un accordo in maggiore a uno in minore. 

Dalla felicità alla tristezza. Una lezione di musicologia e semantica che arriva dritta al cuore. La versione  di questo brano è quella di Annie Lennox,  il cui video è stato filmato nella stanza d’ospedale dove si stava spegnendo il regista Derek Jarman. Il “goodbye” della canzone evoca così un congedo definitivo.

post di Giovanni Bevacqua, 4 E


Il tema della tristezza viene rappresentato in modo sublime dal dipinto 



“Poveri in riva al mare” di Pablo Picasso, 1903. Cleveland, Cleveland Museum of Art.

“Poveri in riva al mare” fu dipinto da Pablo Picasso durante il suo cosiddetto “periodo blu”, mentre l’artista si trova a Parigi, a contatto con gli artisti che di lì a due anni formeranno il gruppo espressionista dei Fauves, a cui Picasso non prenderà mai parte attivamente e da cui si distaccherà presto, sebbene una forte carica espressionista sarà sempre presente nella sua produzione artistica. Le ombre dure e il tratto nervoso di questo dipinto sembrano tuttavia alludere, più che alle curve morbide di Matisse o alle campiture larghe di Derain, alla pittura oscura di Goya o meglio ancora di El Greco. Picasso qui si rivela però anche figlio adottivo e buon erede della cultura impressionista nella resa dei colori, in quel blu che è anche verde, rosa e giallo. Altre influenze francesi si possono riconoscere nel realismo dei volti resi lividi dal freddo, ma soprattutto nella forte carica simbolica del soggetto che ricorda la pittura di Gaugain, in cui la valenza emblematica del colore risulta evidente.
In “Poveri in riva al mare” mancano del tutto i colori caldi, infatti non tutti gli elementi sono rappresentati: la terra è simboleggiata dalla spiaggia, l’acqua dal mare e l’aria si identifica con il cielo. L’unico elemento assente è proprio il fuoco, il calore, la cui mancanza è idealmente rappresentata dall’assenza del sole. Non c’è alcun calore umano, né luce di speranza. Qui il colore rimane, ma si tratta di un colore freddo che comunica l’estrema povertà della famiglia rappresentata, un’indigenza che annichilisce ogni forma di umanità e annienta qualsiasi tipo di vita interiore: ogni personaggio è chiuso in se stesso e rifiuta di aprirsi al mondo nel gesto espressivo delle braccia conserte. Unico tentativo di comunicazione sono le mani del bambino, rivolte verso i genitori in una frustrata ricerca del conforto degli affetti umani. Nella composizione a piani perpendicolari si riconosce in nuce la futura ricerca spaziale-costruttiva dell’autore.



In ambito religioso:

Nel Vangelo di Luca (Luca 22:45) alcuni discepoli dormivano per la tristezza; questo esempio può far soffermare sul potere in un certo senso invalidante di questo sentimento/emozione, che da semplice conseguenza può diventare causa di impotenza operativa e innestare un circolo vizioso.
 



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