Non è da oggi che la politica non vuole la saggezza della filosofia e l'imbarazzo della verità. Il rapporto fra i due pensatori greci, Socrate e Platone, il ruolo dei sapienti nella polis e la tradizione occidentale sono messi in luce in un’originale riflessione di Hannah Arendt, Socrate.
Segue uno stralcio dell'incipit
La Repubblica, 2 settembre 2015
segnalato anche nel blog di Francesco Virga
"Sicuramente, la contrapposizione tra verità e opinione è la conclusione più antisocratica che Platone potesse trarre dal processo di Socrate. Ai suoi occhi, fallendo nel tentativo di convincere i cittadini, Socrate aveva mostrato che la città non è un posto sicuro per il filosofo: non solo nel senso che il possesso della verità mette in pericolo la vita del filosofo; ma anche nel senso, assai più rilevante, che non si può fare affidamento sulla città per preservare la memoria del filosofo, la sua presumibile grandezza e la fama immortale che gli è dovuta.
Se erano arrivati a uccidere Socrate, gli Ateniesi sarebbero stati fin troppo propensi a dimenticarlo una volta morto. Per salvaguardare la sua immortalità terrena, occorreva incoraggiare i filosofi a una solidarietà tutta loro, contrapposta alla solidarietà con la polis e con i concittadini. Per questo Platone avrebbe infine rivoltato contro la città un vecchio argomento usato contro i sophoi (i sapienti), e ancora presente in Platone e Aristotele: i sapienti non sanno che cosa sia bene per loro (che è il prerequisito della saggezza politica), appaiono ridicoli quando si mostrano nella piazza del mercato, e sono di fatto lo zimbello di tutti (come Talete, che fu deriso da una giovane contadina quando si mise a fissare il cielo e cadde nel pozzo ai suoi piedi).
Per comprendere l’enormità [della replica di Platone, cioè] della pretesa che il filosofo governi la città, dobbiamo tenere ben presenti questi comuni pregiudizi, che la polis nutriva nei confronti dei filosofi ma non nei confronti di artisti e poeti: solo il sophos non sa che cosa sia bene per se stesso, e ancora meno sa che cosa sia bene per la polis .
L’ideale platonico del sophos o sapiente che governa la città deve qui essere inteso in contrapposizione all’ideale comune del phronimos , colui che è capace di comprensione, e che in virtù della sua perspicacia negli affari umani è qualificato per la leadership — ma non per regnare. Nella polis la filosofia, l’amore per la sapienza, non era affatto identificata con la saggezza, con la phronesis . Il sapiente, infatti, si occupa di questioni estranee alla vita della polis . E Aristotele concorda pienamente con l’opinione comune quando afferma: «Anassagora e Talete erano sapienti ma non saggi. Non si interessavano di ciò che è bene per gli uomini — glianthropina agatha ».
Ora, Platone non negava che il filosofo si occupasse di argomenti eterni, immutabili, non umani. Ma non era d’accordo sul fatto che ciò lo rendesse inadatto a un ruolo politico. Ossia non era d’accordo con la polis , secondo la quale il filosofo, proprio perché disinteressato a ciò che è bene per gli uomini, corre continuamente il pericolo di diventare un buono a nulla (...). Questa accusa, e cioè che la filosofia possa fiaccare le qualità del cittadino, è implicitamente contenuta nella famosa affermazione di Pericle: «Amiamo il bello senza esagerazione e amiamo la sapienza senza sdolcinature ed effeminatezze». In altri termini, diversamente da noi e dai nostri pregiudizi, che imputano “sdolcinature” ed “effeminatezze” all’amore per il bello, i Greci vedevano pericoli di questo tipo nella filosofia. La filosofia, intesa come interesse per il vero senza riguardo per gli affari umani (e non come amore per il bello, che era rappresentato dappertutto nella
polis , nelle statue come nella poesia), spingeva i filosofi fuori dalla polis e li rendeva incapaci di occuparsene."
Hannah Arendt, Socrate
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