Filosofa e studiosa di teoria della politica (Hannover 1906 - New York 1975), Hannah Arendt fu
allieva di E. Husserl, K. Jaspers e M. Heidegger. Dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo e
l'inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunità ebraiche, Hannah abbandona la Germania
nel 1933 attraversando il cosiddetto "confine verde" delle foreste della Erz. Passando per Praga,
Genova e Ginevra giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter
Benjamin e il filosofo e storico della scienza Alexander Koiré. Fino al 1951, anno in cui le verrà
concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici.
Nel 1961 Hannah Arendt seguì le 120 sedute del processo Eichmann come inviata del settimanale New
Yorker a Gerusalemme. Adolf Eichmann aveva coordinato durante il nazismo
l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio
ma era scampato alla cattura dei gerarchi e collaboratori. Nel maggio 1960 agenti israeliani lo
catturarono in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme. Processato da un
tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato "soltanto di
trasporti" Più volte ripetè, sorprendendo i giudici, di avere letto Kant e di aver applicato (certo in
modo assolutamente originale e mai così lontano dallo spirito dell’autore, segno già questo di
assenza di capacità di elaborazione e riflessione autonoma) la formula dell’imperativo categorico. In verità,
sottolineerà Arendt: “l’aveva distorta facendola divenire “agisci come se il principio delle tue
azioni fosse quello stesso del legislatore o della legge del tuo paese”. Eichmann fu condannato a
morte mediante impiccagione e la sentenza fu eseguita il 31 maggio del 1962.
Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono pubblicate sulla rivista
e poi riunite nel 1963 nel libro "La banalità del male" (Eichmann a Gerusalemme).In questo libro
Hannah Arendt analizza la “normalità” del male nella società odierna con le sue nefaste
conseguenze ma sottolinea anche l’importanza della facoltà di pensare che può evitare le azioni
malvagie, ripristinando una fiducia nell’esercizio del pensiero anche a fondamento dell’etica.
“ Una mezza dozzina di psichiatri lo aveva dichiarato "normale", e uno di questi, si dice, aveva esclamato addirittura: "Più normale di quello che sono io dopo che l'ho visitato", mentre un altro aveva trovato che tutta la sua psicologia, tutto il suo atteggiamento verso la moglie e i figli, verso la madre, il padre, i fratelli, le sorelle e gli amici era "non solo normale, ma ideale". (….)Non era stupido, era semplicemente senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell'uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria”.
Il “Giorno della Memoria”, celebrato ogni anno il 27 Gennaio in
commemorazione delle vittime dell'Olocausto, è un’occasione importante
per riflettere e ribadire la volontà dell'uomo moderno di spezzare il
continuum storico della violenza che ha accompagnato tutta la storia
umana.
La Shoah è considerata l'apice
dell'inumanità, perché ha rappresentato un piano preciso e concreto
messo in atto con metodi di sterminio sistematici e spietati. Mai prima
di quel momento l'irrazionalità della violenza umana è stata
legata in modo così terribile alla razionalità scientifica e
tecnologica del progresso. Tuttavia, è doveroso ricordare che sia prima
che durante la guerra si è agito nella totale indifferenza e complicità
dei popoli europei e non solo, basti pensare che le truppe straniere
nelle Waffen-SS hanno superato per numero quelle tedesche, oppure che i
treni di deportarti attraversavano le nostre città.
L’apertura
del campo di concentramento di Auschwitz il 27 gennaio del 1945 ha
spalancato gli occhi dell’uomo sul baratro in cui è capace di tuffarsi e
di gettare il proprio simile.
Dunque,
l’Olocausto non è ascrivibile e imputabile soltanto alla Germania
nazista, ma riguarda tutti, come i numerosi genocidi avvenuti nella
storia e troppo spesso dimenticati dagli storici e trascurati dai mezzi
di informazione.
All’indomani della Seconda
Guerra Mondiale, la costituzione delle Nazioni Unite aveva come
obiettivo proprio la creazione di un’arena internazionale che potesse
contribuire ad evitare il ripetersi di tale ignominia, ma evidentemente
lo sforzo non è bastato.
A cominciare dagli
stermini e le atrocità commesse dai colonizzatori europei nelle Americhe
e in Africa, fino ad arrivare ai crimini commessi contro l'umanità nel
XX° secolo. La storia dell’ultimo secolo è piena di esempi.
Il genocidio
armeno, avvenuto nel 1915 è ancora oggi negato dalle autorità turche.
Lo sterminio dei Khmer Rossi durante il regime di Pol Pot in Cambogia
tra il '75-'79. Il massacro in Ruanda tra le etnie hutu e tutsi nel '94.
I crimini contro l’umanità e la pulizia etnica nella Ex-Jugoslavia tra
il ‘94 e il ‘95. La terribile guerra civile con sospetti di pulizia
etnica in Colombia. E poi episodi minori come durante la guerra nel
Nagorno-Karabach o le violenze sistematiche contro le popolazioni
musulmane dell’Asia centrale cinese. Ci sono poi i casi di stermini di
massa dovuti ad accadimenti storici o di natura politica come nel caso
dell’Holodomor, la carestia generata in Ucraina tra il 1931 e il 1933 e
quanto successo in Sud-Sudan dove un’intera popolazione è stata affamata
e isolata dalla comunità internazionale.
La
maggior parte di queste atrocità sono state perpetrate nell'indifferenza
o nell'incapacità di agire della comunità internazionale. Oggi in un
momento di fortissima contrapposizione tra Oriente e Occidente, la
storia rischia di ripetersi. Basti pensare a quanto sta succedendo in
Nigeria ad opera di gruppi armati che stanno sterminando intere fasce di
popolazione o ai massacri contro comunità religiose differenti dalla
propria in Medio Oriente.
Affinché ciò non
avvenga e per un futuro migliore, tutti noi dobbiamo ricordare, perché
dalla Memoria si costruisce la coscienza dell'Uomo di domani.
È
questo il significato profondo di questa giornata: ricordare di cosa
l’uomo è capace; ricordare quanto in basso l’uomo può scendere; essere
consapevoli che al male non c’è limite; opporsi alla “banalità del male.
L’impegno civile ed etico deve essere individuale e personale oltre ogni appartenenza, ogni identificazione, ogni differenza.
L’apertura
del cancello di Auschwitz è un simbolo, il simbolo della fine di uno
degli incubi peggiori che l’umanità abbia vissuto. È dal cancello che si
apre che dobbiamo trarre spunto al fine di riuscire a “liberarci” anche
noi dai preconcetti e dagli schemi malsani che affliggono la nostra
società. Ci vorrà del tempo, come ce n’è voluto per liberare i migliaia
di deportati in Polonia, ma il cancello per un mondo migliore non
aspetta altro che essere spalancato. Ricordare, affinché un’altra
tragedia venga evitata: l’uccisione del futuro dell’umanità.
Dimitri Nikolaev
Anna Caputo
Per approfondire si consiglia la lettura diIl secolo dei genocidi di Bernard Bruneteau, il Mulino, 2006
Secondo studi recenti, tra i quali quello di Steven Nadler, l'eresia principale che portò alla scomunica di Spinoza sarebbe stata il non credere all'immortalità dell'anima, mentre Nicola Abbagnano
e i principali studiosi di Spinoza individuano la causa
dell'inconciliabilità del suo pensiero con l'ebraismo nella sua
identificazione di Dio con la natura (Deus, sive Natura:
Dio, ovvero la Natura) e nel rifiuto di un Dio-persona come quello
biblico.
Spinoza inoltre asseriva apertamente di ritenere la Bibbia una
fonte di insegnamenti morali, ma non della verità; egli rifiutava il
concetto di libero arbitrio e applicava la propria visione deterministica anche a Dio (negazione del creazionismo
e della libertà di azione del Creatore): l'unica libertà che Dio ha
nella visione spinoziana è l'assenza di costrizioni esterne.
Pensate: non più
di venti anni fa, e nel cuore di questa civile Europa, è stato
sognato un sogno demenziale, quello di edificare un impero millenario
su milioni di cadaveri e di schiavi. Il verbo è stato bandito per le
piazze: pochissimi hanno rifiutato, e sono stati stroncati; tutti gli
altri hanno acconsentito, parte con ribrezzo, parte con indifferenza,
parte con entusiasmo. Non è stato solo un sogno: l’impero, un
effimero impero, è stato edificato: i cadaveri e gli schiavi ci sono
stati. […]
Ma c’è stato anche
di più e di peggio: c’è stata la dimostrazione spudorata di
quanto facilmente il male prevalga. Questo, notate bene, non solo in
Germania, ma ovunque i tedeschi hanno messo piede; dovunque, lo hanno
dimostrato, è un gioco da bambini trovare traditori e farne dei
sàtrapi, corrompere le coscienze, creare o restaurare
quell’atmosfera di consenso ambiguo, o di terrore aperto, che era
necessaria per tradurre in atto i loro disegni.
Tale è stata la
dominazione tedesca in Francia, nella Francia nemica di sempre; tale
nella libera e forte Norvegia; tale in Ucraina, nonostante vent’anni
di disciplina sovietica; e le medesime cose sono avvenute, lo si
racconta con orrore, entro gli stessi ghetti polacchi: perfino entro
i Lager. È stato un prorompere, una fiumana di violenza, di frode e
di servitù: nessuna diga ha resistito, salvo le isole sporadiche
delle Resistenze europee.
Negli stessi Lager,
ho detto. Non dobbiamo arretrare davanti alla verità, non dobbiamo
indulgere alla retorica, se veramente vogliamo immunizzarci. I Lager
sono stati, oltre che luoghi di tormento e di morte, luoghi di
perdizione. Mai la coscienza umana è stata violentata, offesa,
distorta come nei Lager: in nessun luogo è stata più clamorosa la
dimostrazione cui accennavo prima, la prova di quanto sia labile ogni
coscienza, di quanto sia agevole sovvertirla e sommergerla.
Non stupisce che un
filosofo, Jaspers, ed un poeta, Thomas Mann, abbiano rinunciato a
spiegare l’hitlerismo in chiave razionale, ed abbiano parlato, alla
lettera, di «dämonische Mächte», di potenze demoniache.
Su questo piano
acquistano senso molti particolari, altrimenti sconcertanti, della
tecnica concentrazionaria. Umiliare, degradare, ridurre l’uomo al
livello dei suoi visceri. Per questo i viaggi nei vagoni piombati,
appositamente promiscui, appositamente privi d’acqua (non si
trattava qui di ragioni economiche).
Per questo la stella
gialla sul petto, il taglio dei capelli, anche alle donne. Per questo
il tatuaggio, il goffo abito, le scarpe che fanno zoppicare. Per
questo, e non la si comprenderebbe altrimenti, la cerimonia tipica,
prediletta, quotidiana, della marcia al passo militare degli
uomini-stracci davanti all’orchestra, una visione grottesca più
che tragica.
Vi assistevano, oltre ai
padroni, reparti della Hitlerjugend, ragazzi di 14-18 anni, ed è
evidente quali dovevano essere le loro impressioni. Sono questi,
dunque, gli ebrei di cui ci hanno parlato, i comunisti, i nemici del
nostro paese? Ma questi non sono uomini, sono pupazzi, sono bestie:
sono sporchi, cenciosi, non si lavano, a picchiarli non si difendono,
non si ribellano; non pensano che a riempirsi la pancia. È giusto
farli lavorare fino alla morte, è giusto ucciderli. È ridicolo
paragonarli a noi, applicare a loro le nostre leggi.
Allo stesso scopo di
avvilimento, di degradazione, si arrivava per altra via. I funzionari
del campo di Auschwitz, anche i più alti, erano prigionieri: molti
erano ebrei. Non si deve credere che questo mitigasse le condizioni
del campo: al contrario. Era una selezione alla rovescia: venivano
scelti i più vili, i più violenti, i peggiori, ed era loro concesso
ogni potere, cibo, vestiti, esenzione dal lavoro, esenzione dalla
stessa morte in gas, purché collaborassero.
Collaboravano: ed ecco,
il comandante Höss si può scaricare di ogni rimorso, può levare la
mano e dire «è pulita»: non siamo più sporchi di voi, i nostri
schiavi stessi hanno lavorato con noi. Rileggete la terribile pagina
del diario di Höss in cui si parla del Sonderkommando, della squadra
addetta alle camere a gas e al crematorio, e capirete cosa è il
contagio del male.
"L'odio
deve rendere produttivi. Altrimenti è più intelligente amare."
Karl
Kraus - Detti e contraddetti
Che
il sentimento di odio sia una cosa negativa non è poi una cosa così
scontata.
Spesso
nelle dinamiche che portano all'unità di uno stato esso è
fondamentale.
"Col
tempo finiamo con l'odiare ciò che spesso temiamo."
Shakespeare
- Antonio e Cleopatra
L'odio
per un nemico comune unisce il popolo e permette a chi è al potere
di avere un fulcro forte su cui fondare i propri discorsi per
renderli convincenti e ottenere consensi.
Un
esempio lampante dell'utilità dell'odio è la grandezza che
raggiunse l'impero Romano nel periodo delle tre guerre puniche grazie
alle quali ottenne non solo l'egemonia sulle rotte commerciali del
Mediterraneo, ma anche uno stato forte e motivato dall'odio verso i
cartaginesi.
Il
degrado morale e sociale che seguì la dittatura di Silla, la fine
del periodo repubblicano che fu teatro del decadimento dei valori del
mos maiorum, furono la diretta conseguenza del periodo di stallo in
cui pasceva la società romana, sicura nei propri confini e con
nient'alto da odiare che i gradi più alti di se stessa.
Da
sempre una civiltà, società, o gruppo di qualsiasi genere e natura,
ha trovato nel nemico comune il collante delle proprie relazioni.
Secondo
Umberto Eco sarebbe questa una delle cause della bassa unità
dell'Italia: l'assenza di una civiltà nemica comune storica.
Anche
se forse questo ragionamento in sè dimostra semplicemente che la
formazione di una qualsiasi sovrastruttura sia da ritenersi deleteria
per l'umanità poichè fondata su sentimenti negativi quali l'odio,
il razzismo e la brama di potere.
L'odio
è anche semplicemente visto come il sentimento opposto all'amore e
spesso come la degenerazione di quest'ultimo.
Si
dice che chi ha tanto amato in seguito alla sofferenza riesce ad
odiare più che tutti gli altri.
Molte
canzoni moderne si fondano su questo binomio odio-amore e del loro
rapporto strettamente legato.
Una
canzone di una band rock contemporanea, i Three
Days Grace, recita:
"I
hate everything about you. Why do I loved you?"
Ossia:
"Odio tutto di te. Perchè ti ho amato?"
L'odio
perciò ci fa dimenticare tutti i sentimenti positivi che possedevamo
in precedenza? Può l'odio cancellare del tutto l'amore?
Di
certo questo sentimento cova sotto la cenere come un tizzone ardente
e attende solo che ci si soffi sopra per ravvivarsi.
L'odio
sa aspettare, non ha fretta e spesso non è una passione turbolenta.
Tutto
sommato è un sentimento per certi versi necessario.
Anche
colui che crede di essere totalmente immune al male e interamente
dedicato all'amore non può non odiare.
Ammettiamo
che ci sia qualcuno che ama tutto ciò che c'è di buono, allora egli
non odia automaticamente sia il contrario di ciò che ama sia ciò
che potrebbe in qualche modo danneggiarlo?
Amo
la sincerità. Non odio perciò la viltà e le menzogne?
La
questione si riduce dunque nell'approvare la direzione in cui è
rivolto l'odio, non nel rigettare completamente questo sentimento.
"L'odio
è il piacere più duraturo; gli uomini amano in fretta, ma odiano
con calma."
George
Gordon Byron
post di Salvatore Maccarrone, 4 E
Una
frase del poeta francese dell'Ottocento, Charles
Baudelaire, recita:
"L'odio è un
liquore prezioso, un veleno più caro di quello dei Borgia. Perché è
fatto col nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due
terzi del nostro amore."
L'odio,
afferma, è fatto da due
terzi del nostro amore,
quindi esso non viene più affrontato e visto come una degenerazione
ma come un sentimento affine all'amore.
Secondo gli esperti
del Dipartimento di Pischiatria di Verona, l’odio è un legame tra
un individuo ed un altro. E’ quindi simile all’amore e, in quanto
tale, altrettanto intenso. Se nell’amore una persona sente di aver
bisogno dell’altra fino a pensare di non esistere senza di essa,
nell’odio la persona odiata occupa lo spazio mentale. Amore e odio
sono quindi dei legami tra due persone che spesso risultano
interscambiabili, esso ha certamente degli effetti sconvolgenti sul
singolo o sulle società, ad esempio su di un popolo o su una razza,
però mantiene un volto umano: è un qualcosa con cui tutti abbiamo a
che fare e dobbiamo quindi imparare a conoscerlo bene per poterlo
dominare.
"Apprendere
che nella battaglia della vita si può facilmente vincere l'odio con
l'amore, la menzogna con la verità, la violenza con l'abnegazione
dovrebbe essere un elemento fondamentale nell'educazione di un
bambino."
Così Gandhi
sottolinea l'importanza di questa dualità odio-amore
che tutti prima o poi
dovremmo affrontare nella vita, dualità che viene anche affrontata
dal noto poeta latino Catullo
nel suo famoso epigramma:
"Odio
e amo.
Come possa fare ciò, forse ti chiedi. Non lo so, ma sento che
avviene e me ne cruccio."
Concludendo,
l'odio è un sentimento forte, che si trova al pari dell'amore.
Condivide con esso molto nella sua essenza, all'infuori
dell'accezione negativa che lo separa e lo tiene distante dalla sua
controparte.
"Soltanto
quelli che sanno odiare sanno anche amare."
“è un languore sgradevole in cui consiste il disagio che l’anima riceve dal male”
così Cartesio definì la tristezza nella sua opera “Le passioni dell’anima”.
Ancora oggi noi, a distanza di secoli, descriviamo questo stato d’animo come causato da un avvenimento negativo, drammatico, maligno, opposto alla gioia e alla felicità, quindi al godimento del bene.
Tuttavia questo sentimento può essere provato anche in condizioni normali, senza essere necessariamente indotto dal male. Ad ognuno di noi è capitato di chiudersi, da un momento all’altro e senza un apparente motivo, in questa condizione di nostalgia e malinconia che stringe il cuore e la mente in una morsa da cui è difficile liberarsi. Finiamo per essere schiavi di questa passione opprimente e schiacciante: parole di conforto, provare a non pensare, occupare la mente con altri pensieri si trasformano in tentativi vani e diveniamo costretti ad accogliere il nostro dolore con sottomissione fino al superamento di esso.
Questa condizione di tristezza è però diventata inadeguata per la società odierna, poiché tutti abbiamo il diritto e il dovere di essere felici. Ma c’è veramente qualcosa di sbagliato nel non esserlo? Dobbiamo tener conto che molti pittori, poeti, musicisti hanno prodotto le loro migliori opere in momenti di grande tristezza e malinconia. Così come la felicità, anch’essa può essere considerata una “musa ispiratrice”. L’amore non corrisposto, il senso di inadeguatezza, il dolore per una perdita, l’insoddisfazione verso la propria vita, sono alcuni dei temi principali della letteratura e dell’arte passata e presente.
Lo SPLEEN di Baudelaire e il MAL DI VIVERE di Leopardi
La parola spleen, di origine greca, rappresenta in francese la tristezza meditativa o la melanconia.
Nonostante questo termine fosse già utilizzato nella letteratura del Romanticismo, venne reso famoso durante il Decadentismo (metà Ottocento/primi del Novecento) dal poeta Charles Baudelaire.
Sotto il nome di “Spleen” sono presenti quattro componimenti nella prima sezione del suo libro “I fiori del male”, di cui l’ultimo è il più significativo.
« Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio,
e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte
fa del dì una tristezza più nera della notte[…]”
In questa lirica viene raggiunta la massima angoscia di Baudelaire nei confronti di un Mondo da cui non si sente accettato e che non riesce a trasformare. Nella sua condizione di estraneo, il poeta conferisce ai versi un tono forte ed espressivo, che comunica un male fisico oltre che psicologico, nonché un senso di soffocante chiusura. Questa prima parte della poesia descrive il momento in cui il cielo è nuvoloso e anche noi sentiamo un senso di pesantezza di timore verso ciò che è nettamente predominante e incontrollabile. Questo ci fa capire che la tristezza può essere provocata anche da fattori esterni come il cielo, che con i suoi colori e i suoi mutamenti riesce a trasmetterci determinate sensazioni, dalle quali non possiamo fuggire.
Pur sembrando molto simili, lo spleen e il taedium vitae leopardiano differiscono per alcuni aspetti.
Per Leopardi il fine dell’uomo è raggiungere il piacere, inteso come infinito e assoluto, un piacere che l’uomo non riesce a raggiungere. Da qui scaturisce la sua condizione di infelicità e il suo rapporto con la Natura. Essa ci appare inizialmente benigna, poiché ci ha donato la vita e ci ha creati, ma successivamente rivela il suo volto maligno.
Per Leopardi l’unica soluzione diventa l’immaginazione. La felicità è data non dalla conoscenza del vero, bensì dalla sua ignoranza; sapere di più significa soffrire di più, e chi aumenta la conoscenza aumenta anche il dolore.
La realtà è banale e maligna, vere sono solo le illusioni, ossia le speranze, di cui l’umanità si nutre e che non può abbandonare senza cadere nella disperazione.
Questa forma di pensiero porta Leopardi a vivere tre diversi tipi di pessimismo:
Il pessimismo individuale, poiché egli si sente già vecchio a causa delle sue condizioni di salute.
Il pessimismo stoico, inteso come allontanamento dall’originaria condizione di felicità.
Il pessimismo cosmico, derivante dalla consapevolezza dell’infelicità dell’uomo, sia antico che moderno.
In definitiva, lo spleen non produce riflessività sulla condizione umana, ma si esprime a livello artistico con la descrizione degli effetti opprimenti e terribili dell'angoscia esistenziale. Rappresenta uno stato di depressione cupa, angosciosa, dal quale è impossibile sfuggire.
“Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni.”
PENSIERO MALINCONICO
Francesco Hayez, “Pensiero malinconico”, 1842,
olio su tela, 135 x 98 cm, Milano, Pinacoteca di Brera.
Francesco Hayez è stato uno pittore italiano, massimo esponente del Romanticismo storico.
Molte sue opere sono criptate, nascondono quindi un messaggio nascosto, specialmente politico.
In quegli anni infatti era severamente vietato trattare o raffigurare determinati argomenti, così decise di camuffarli trasponendoli in epoche passate (es. Il Bacio).
Il dipinto “Pensiero malinconico” rappresenta una fanciulla presa dalla malinconia.
Come in altri quadri di Hayez, viene ripersa un’ambientazione medievale, come possiamo vedere dalla parete nuda posta alle sue spalle che suggerisce la presenza di un castello o un antico palazzo, un ambiente scarno e vuoto.
Lo sguardo scuro e cupo della donna, insieme alla veste grigio-celeste e camicia sottostante calate sulla spalla sinistra, stanno a sottolineare una caduta dell’equilibrio emotivo, che tende a scendere verso la tristezza o la depressione.
Molto importante è il dettaglio sulla sinistra, quello del vaso; al suo interno sono presenti fiori dal forte odore (quali le rose e i gigli), ma quasi del tutto appassiti, una sorta di autunno dei sentimenti.
Dei petali e una foglia caduti suggeriscono, con la loro definitiva separazione dalla vita, la scomparsa della gioia.
Secondo alcuni i dipinto viene allegoricamente interpretato come la necessità di un risveglio dell’Italia (la fanciulla a appare infatti disinteressata e “decadente”)
La tristezza vissuta attraverso le canzoni, o l’arte, fa sicuramente meno paura e ci aiuta ad affrontare le emozioni negative in maniera più tenue.
È paradossale, se ci fermiamo a riflettere, ascoltare musica triste quando si è tristi. Eppure siamo consapevoli che se ascoltassimo canzoni “allegre” non ci sentiremmo in sintonia con esse.
Parlo di canzoni per convenzione, perché ci sono milioni di altri suoni o rumori che hanno la capacità di alleviare il malessere dell’anima quando è pervasa dalla tristezza: l’infrangersi delle onde sulla spiaggia, le fronde degli alberi mosse dal vento, il tintinnio della pioggia sull’asfalto.
“La musica è una legge morale, essa dà un'anima all'universo, le ali al pensiero, uno slancio all'immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose.”
Platone
“Sono così stanco di stare qui
Soffocato da tutte le mie infantli paure
E se devi partire
Desidero che tu possa farlo
Perchè ancora la tua presenza indugia qui
E non vuole lasciarmi solo
Sembra che queste ferite non possano guarire
Che questo dolore sia troppo reale
Ce n'è così tanto che nemmeno il tempo potrà cancellarlo.”
Evanescence - My Immortal
“Tutti morimmo a stento
ingoiando l'ultima voce
tirando calci al vento
vedemmo sfumare la luce.
L'urlo travolse il sole
l'aria divenne stretta
cristalli di parole
l'ultima bestemmia detta. “
Fabrizio De Andrè - La ballata degli impiccati
“Non affliggerti, non abbassare la testa.
Ti prego non piangere
So quello che provi, anch’io
Anch’io l’ho provato
Qualcosa cambia dentro di te
E non lo sai”
Guns n’Roses – Don’t cry
post di Daniel Giuffrida, 4 E
La tristezza è, in musica, l’emozione forse più minuziosamente sondata e descritta in tutti le sue sfumature: dal languore dell’infelicità amorosa alla malinconia per la perdita o l’abbandono. Una canzone che parla della tristezza che procura il congedo da chi si ama (“every time we say goodbye I die a little”). Questa bellissima canzone, in un preciso passaggio, sia lirico sia melodico, distilla il più profondo degli struggimenti. Lo fa nel punto in cui recita “How strange the change from major to minor every time we say goodbye” (che strano il cambio da “maggiore” a “minore” ogni volta che ci congediamo”). Esattamente in corrispondenza delle parole “change from major to minor” c’è un cambio melodico da un accordo in maggiore a uno in minore.
Dalla felicità alla tristezza. Una lezione di musicologia e semantica che arriva dritta al cuore. La versione di questo brano è quella di Annie Lennox, il cui video è stato filmato nella stanza d’ospedale dove si stava spegnendo il regista Derek Jarman. Il “goodbye” della canzone evoca così un congedo definitivo.
post di Giovanni Bevacqua, 4 E
Il tema della tristezza viene rappresentato in modo sublime dal dipinto
“Poveri in riva al mare” di Pablo Picasso, 1903. Cleveland, Cleveland Museum of Art.
“Poveri in riva al mare” fu dipinto da Pablo Picasso durante il suo cosiddetto “periodo blu”, mentre l’artista si trova a Parigi, a contatto con gli artisti che di lì a due anni formeranno il gruppo espressionista dei Fauves, a cui Picasso non prenderà mai parte attivamente e da cui si distaccherà presto, sebbene una forte carica espressionista sarà sempre presente nella sua produzione artistica. Le ombre dure e il tratto nervoso di questo dipinto sembrano tuttavia alludere, più che alle curve morbide di Matisse o alle campiture larghe di Derain, alla pittura oscura di Goya o meglio ancora di El Greco. Picasso qui si rivela però anche figlio adottivo e buon erede della cultura impressionista nella resa dei colori, in quel blu che è anche verde, rosa e giallo. Altre influenze francesi si possono riconoscere nel realismo dei volti resi lividi dal freddo, ma soprattutto nella forte carica simbolica del soggetto che ricorda la pittura di Gaugain, in cui la valenza emblematica del colore risulta evidente. In “Poveri in riva al mare” mancano del tutto i colori caldi, infatti non tutti gli elementi sono rappresentati: la terra è simboleggiata dalla spiaggia, l’acqua dal mare e l’aria si identifica con il cielo. L’unico elemento assente è proprio il fuoco, il calore, la cui mancanza è idealmente rappresentata dall’assenza del sole. Non c’è alcun calore umano, né luce di speranza. Qui il colore rimane, ma si tratta di un colore freddo che comunica l’estrema povertà della famiglia rappresentata, un’indigenza che annichilisce ogni forma di umanità e annienta qualsiasi tipo di vita interiore: ogni personaggio è chiuso in se stesso e rifiuta di aprirsi al mondo nel gesto espressivo delle braccia conserte. Unico tentativo di comunicazione sono le mani del bambino, rivolte verso i genitori in una frustrata ricerca del conforto degli affetti umani. Nella composizione a piani perpendicolari si riconosce in nuce la futura ricerca spaziale-costruttiva dell’autore.
In ambito religioso: Nel Vangelo di Luca (Luca 22:45) alcuni discepoli dormivano per la tristezza; questo esempio può far soffermare sul potere in un certo senso invalidante di questo sentimento/emozione, che da semplice conseguenza può diventare causa di impotenza operativa e innestare un circolo vizioso.
L’intento scientifico della filosofia cartesiana si può vedere nella trattazione del problema psicologico delle passioni dell’anima. Quando l’anima subisce i moti degli spiriti animali che le terminazioni nervose portano al cervello, si hanno le percezioni o “PASSIONI”.
Cartesio individua sei passioni primitive, da cui si generano tutte le altre: AMMIRAZIONE, AMORE, ODIO, DESIDERIO, GIOIA e TRISTEZZA.
IL DESIDERIO
La passione del desiderio si avverte quando l’anima è alla ricerca di qualcuno o qualcosa (oggetto del desiderio) che la possa far star meglio.
Il desiderio che si prova nel tendere a qualche bene è accompagnato da amore, e quindi da speranza e gioia; il medesimo desiderio, invece, quando tendiamo ad allontanarci dal male contrario a quel bene, è accompagnato da odio, paura e tristezza.
Il desiderio si rivolge a un tempo futuro, in quanto questa passione consiste nella ricerca di qualcosa che si vuole, ma che al momento non si ha o non è possibile avere.
post di Fabiola Panebianco, 4 E
Nell’antico latino, de-siderare significa osservare le stelle con attenzione (la particella ‘de’ ha infatti un valore intensivo). Si allude con ciò ad un qualcosa di non determinato, che però attrae lo sguardo, stando al di sopra delle cose che sono a disposizione nell’esperienza.
Desiderio è aspirazione e impulso a soddisfare un bisogno o un piacere. Quotidianamente desideriamo qualcosa che ci appaghi moralmente. Allo stesso modo, abbiamo anche il desiderio di non perdere quello che si ha e di allontanare ogni male. Il desiderio può essere dunque accompagnato sia da amore, nel primo caso, che da odio, paura, tristezza, nel secondo caso. Il soffio delle candeline sulla torta, la caduta di una stella, il lancio di una lanterna che illumina il cielo, sono tutti piccoli gesti attraverso cui esprimiamo i nostri desideri. Il desiderio è una passione priva del suo contrario ed è rivolta al futuro. Non si può però parlare del desiderio, senza parlare del suo termine di tendenza: il bene. “Desiderio” indica infatti l’attesa di bene che noi siamo. “Bene” è la parola che qualifica l’essere, come oggetto del desiderio. “Bene”, dunque, è l’essere (la realtà) in quanto, almeno potenzialmente, desiderabile.
NELL’AMBITO ARTISTICO un celebre e bellissimo quadro è "Gli amanti" o "Les amants" ( 1928, olio su tela, 54x73 cm, New York, Richard S.Zeisler Collection) di René Magritte.
Principale esponente del surrealismo belga, qui siamo di fronte all’amore che non riesce ad esprimere totalmente la sua passionalità, rappresentato dai drappeggi dei lenzuoli che velano i volti degli amanti. Si tratta di uno degli esempi più eclatanti di negazione del gesto desiderato. È evidente infatti la volontà e il desiderio degli innamorati di comunicare e di scambiarsi un amore muto, incapace di un linguaggio diverso da quello del corpo, esprimendo una forte passione nonostante la mancanza di dialogo.
post di Marco Galati, 4 E
Personalmente posso parlare di
quest’ultima passione.
Questa è l’età dei timori e della
speranza. Il mio pensiero teso verso il futuro, i miei progetti, i
miei sogni per l’avvenire sono pieni di incognite, specie in questo
momento di crisi morale, sociale, economica ed occupazionale. Ci sono
giorni in cui la speranza prevale sul timore e così vedo già una
società più corretta, più equilibrata, più rassicurante. Non
sempre è così però. La realtà spesso fa crollare ogni sogno, ogni
progetto, e torna prepotente il timore. Cosa avverrà domani e domani
ancora…
L’incertezza del futuro mi scoraggia,
mi assilla con mille interrogativi a cui non so dare una risposta, ma
basta una gratificazione personale, un’esperienza positiva, un
riscontro adeguato al mio impegno, uno sguardo rassicurante, una
buona notizia per rimettere in moto i miei progetti per un futuro che
vorrei vivere da protagonista attivo, responsabile, corretto
moralmente ed adeguatamente preparato.
post di Federica Arcidiacono, 4 E
Il desiderio è la forma di ogni tensione dell’uomo alla realtà. Gli stessi bisogni umani ricevono forma dal desiderio e la volontà, ultimamente, è il movimento verso l’oggetto proprio del desiderio: un oggetto che non può che essere infinito, visto che infinito è l’orizzonte cui il desiderio è rivolto. L’apertura del desiderio supera dunque ogni realtà finita. Non solo, ma ciò che immaginiamo, è la riproduzione di ciò di cui abbiamo esperienza. Anche il mondo immaginario dell’uomo è dunque un mondo finito. Il desiderio sarà allora sproporzionato anche rispetto agli oggetti dell’immaginazione. Il desiderio soddisfa i bisogni o un piaceri. Ogni giorno desideriamo un miglioramento che ci appaghi moralmente. Allo stesso modo, abbiamo anche il desiderio di allontanare tutto ciò che è dannoso alla nostra sopravvivenza. Il desiderio è una passione che opera su entrambi gli aspetti, sperando che siano piacevoli.
“Non rovinare quello che hai desiderando ciò che non hai. Ricorda
che ciò che ora hai un tempo era tra le cose che speravi di avere.”
(Epicuro)
post di Daniele Fallara, 4 E
In particolare mi voglio soffermare sul rapporto che c’è tra desiderio, gioia e piacere.
Il desiderare ci porta ad attendere qualcosa che ci renderà felici e quindi, che provocherà gioia e piacere, anche se può portare alla delusione nel caso in cui ciò che era desiderato non si avvera.
Nella celebre frase di: Gotthold Ephraim Lessing (grande scrittore, filosofo e drammaturgo tedesco, ritenuto un importante esponente dell'Illuminismo letterario e filosofico tedesco.)
“L’attesa del piacere è essa stessa il piacere.”
viene rappresentato, secondo me, anche un importante aspetto di questo rapporto tra desiderio, gioia e piacere; un esempio banale potrebbe essere quello di un bambino che attende il Natale per poter scartare il suo regalo. I giorni precedenti osserva sotto l’albero il suo bel regalo e allora desidera che quel giorno arrivi in fretta, già prova parte del piacere, se non la maggior parte. Arrivato il giorno, il bambino è molto felice e prova una grande gioia, per un po' di giorni continuerà ad esserlo ma passato del tempo questa gioia finirà.
Ovviamente non dobbiamo soffermarci solo sui beni materiali, ci sono sentimenti molto più intensi e duraturi: lo stare felici insieme a le persone a noi care, il desiderare il ritorno di qualche persona importante che sta lontano da noi, l’amare o l’essere amati. Purtroppo l’uomo che non sa apprezzare ciò che possiede e tende a desiderare sempre di più per arrivare alla gioia. È importante, così come ci dicono tanti filosofi, apprezzare non i beni materiali bensì le vere cose che portano al bene o al piacere dell’anima come l’amare e il rispettare il prossimo.
post di Giorgia Rizzo, 4 E
Dal punto di vista religioso, si sostiene che alla base delle religioni vi sia un
desiderio ditrascendenza, di un ordine superiore, di unDio oppureDei, comeessere supremo-spirituale, non visibile, che prevale e regola il mondo
materiale,immanente, infatti NelCristianesimo,Nell’Ebraismo e nell’Islam l'umano desiderio diimmortalità viene
appagato con lafede nellarisurrezione,
mentre invece in altre religioni come l’Induismo e il Buddhismo il desiderio è generalmente visto in chiave negativa, poiché
esso porta ad una infinita sete di dominio insaziabile.
Cartesio, nella sua opera “ Les passions de l’ame”, cioè “ Le passioni dell’anima”, descrive come l'anima umana si rapporti alle passioni e tenta di classificare queste ultime, considerando la meraviglia la passione più importante, in quanto priva di un opposto. Egli osserva che quando la gente incontra per la prima volta un oggetto sorprendente o nuovo, "questo ci rende meravigliati e stupefatti". Afferma quindi che "la meraviglia è la prima di tutte le passioni." Essa è utilissima perché ci fa apprendere e conservare nella memoria ciò che prima ignoravamo. Tuttavia Cartesio, a differenza dei filosofi greci prima di lui, ha una visione negativa della meraviglia: "Anche se è bene essere nati con qualche tipo di inclinazione a questa passione perché ci dispone all'acquisizione delle scienze, comunque dovremmo poi sforzarci, per quanto possibile, di liberarci di essa."
Alla meraviglia si congiunge la stima o il disprezzo a seconda che ci meravigliamo della grandezza o della piccolezza delle cose. E così possiamo stimare o disprezzare noi stessi; di qui le passioni d’orgoglio e di umiltà.
Giovanni Pascoli, poeta italiano vissuto tra il 1800 e il 1900, è l’autore del trattato “il fanciullino”, in cui afferma che l’età veramente poetica è quella dell’infanzia, infatti è tipico del fanciullo vedere tutto con meraviglia, come per la prima volta; scoprire la poesia nelle cose, nelle più grandi come nelle più umili, nei particolari che svelano la loro essenza, il loro sorriso e le loro lacrime.
La meraviglia è anche il senso di stupore e di inquietudine sperimentata dall'uomo quando comincia ad interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo:
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, è un dipinto del 1897 di Paul Gauguin.
Il poeta-filosofo Jorge Luis Borges è considerato poeta della meraviglia, fonte da cui scaturiscono sia la poesia che la filosofia (come dicevano Platone e Aristotele); come disse in una conferenza americana del 1976: «Senza dubbio, la nostra esistenza è un fatto curioso. […] il fatto di stupirsi di fronte alla vita può essere l’essenza della poesia. La poesia consiste nel sentire le cose come strane […]. L’unica differenza è che nel caso della filosofia la risposta viene data in maniera logica, mentre per la poesia si usa la metafora».
La canzone “Meraviglioso” è stata cantata da Domenico Modugno e reinterpretata dai Negramaro; il testo parla di un uomo che tenta il suicidio ma che ne viene fuori nel momento in cui si accorge delle bellezze della vita che molte volte si danno per scontate.
E' vero
credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardando l'acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù uh
D'un tratto
qualcuno alle mie spalle
forse un angelo
vestito da passante
mi portò via dicendomi
Così:
Meraviglioso
ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia
meraviglioso
Meraviglioso
perfino il tuo dolore
potrà apparire poi
meraviglioso
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
Meraviglioso
il bene di una donna
che ama solo te
meraviglioso
La luce di un mattino
l'abbraccio di un amico
il viso di un bambino
meraviglioso
meraviglioso…
meraviglioso
meraviglioso
meraviglioso
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
Meraviglioso
il bene di una donna
che ama solo te
meraviglioso
La notte era finita
e ti sentivo ancora
Sapore della vita
Meraviglioso
Meraviglioso...
Questa canzone è un inno alla vita, ci invita ad apprezzare le piccole cose che abbiamo, anche quando ci sembra di non aver nulla nelle mani.
Presi dalle nostre cose, spesso negative, non ci rendiamo conto che la vita è una cosa meravigliosa. Questa canzone vuole far riflettere proprio su questo, sul fatto che abbiamo molto e non ci accontentiamo mai.
post di Claudio Sgroi, classe 4 E
Per i filosofi la meraviglia è necessaria poiché genera il “thauma” cioè il “colpo” che provi nel percepire il problema, lo stupore che provi nell’andare oltre, nel porti domande come il perché, il che cos’è, qual’ è la sua origine e nel riuscire a dare delle risposte.
Per trattare la meraviglia ho scelto quest’immagine dal film “ La vita è bella “di Roberto Benigni ( film pluripremiato che racconta la deportazione degli ebrei nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale) . Ritengo che essa sia la massima espressione di meraviglia perché attraverso il sorriso del bambino riesce a creare una sensazione di “gioia inaspettata” quindi di meraviglia anche la dove sarebbe impossibile meravigliarsi “positivamente” ovvero nel campo di concentramento.
Concludo con una citazione che dovrebbe fare riflettere la mia generazione , una generazione di ragazzi che, spesso ”depressi perché la vita fa schifo ecc…….” ( Sapete… questa condizione va di moda! ), non sono più capaci di meravigliarsi .
“Colui che non è più capace di provare né stupore né sorpresa
è per così dire morto: i suoi occhi sono spenti.”
Albert Einstein
Sergio Mangano, classe 4 E,
segnala
Non v’è cosa più meravigliosa che
udire la musica unirsi alla poesia in una unione sacra che fa sì che
la canzone venga a noi.
Stupiamoci delle singole e
Meravigliamoci nel sentirle unite.
La Meraviglia è la passione che
divide. Essa divide infatti l’ordinario , il semplice , il comune
dallo straordinario, l’insolito, lo sconosciuto. Ci porta a
conoscere lo straordinario e a ricordarlo. Cartesio però nonostante
la predisposizione di questa passione alla conoscenza e la sua
tendenza al bene ci spinge a liberarcene.
Dobbiamo dire comunque che la filosofia è
una materia che nasce dalla Meraviglia, poiché è la meraviglia che
spinge l’uomo ad interrogarsi e a voler conoscere l’eccezionale.
Fu sicuramente questa meraviglia a spingere i primi filosofi ad
interessarsi alla ricerca e alla conoscenza della natura (Physis). Fu
questa meraviglia stessa a far sì che la filosofia progredisse. Non
è un caso che per Aristotele e Platone la meraviglia fosse l’origine
del sapere.
« È proprio del filosofo questo
che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento
ha il filosofare che questo »
(Platone, Teeteto 150 d)
« Infatti gli uomini hanno
cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della
meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle
difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco,
giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi
riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o
i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi
prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non
sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo
qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di
cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno
filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercarono
il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche
utilità pratica. »
(Aristotele, Metafisica)
Non esistono opere che parlino di
meraviglia, ma la meraviglia parla di tutte le opere e mediante tutte
le opere d’arte. Dunque basta guardare un opera d’arte per
meravigliarci di come l’uomo possa generare qualcosa di così bello
e sublime.
post di Silvia Portale, 4 E
“Non
vi è oggetto che agisca sulla nostra anima più immediatamente del
corpo cui essa è congiunta, per questo ciò che è una passione
nell’anima è comunemente un’azione nel corpo.”
Cartesio
così descrive il rapporto che esiste fra l’anima e il corpo
nell’essere umano. Come può il corpo influire così tanto
nell’uomo da essere monito del suo agire? Ebbene Cartesio individua
delle passioni primitive, originate da spiriti animali, alle quali
l’anima è soggetta e dalle quali essa non può sottrarsi in nessun
modo. Solo con l’utilizzo della forza della ragione e della volontà
l’uomo può controllare le sue passioni, ma mai annullarle del
tutto. Le passioni primitive sono sei in tutto e l’ammirazione fa
parte di queste.
Attorno
alla parola ammirazione ruotano numerosi significati. È ammirazione
il sentimento di profonda stima e rispetto verso qualcuno, lo è
anche l’osservare qualcosa con meraviglia ed attrazione,
l’ammirazione è stupore. Per Cartedio è la passione suscitata in
noi da ciò che è nuovo e inconsueto, essa stimola il desiderio di
conoscere ed è quindi rivolta all’ambito conoscitivo. Si può ben
capire il motivo per cui l’ammirazione, intesa come meraviglia, è
stata da sempre oggetto di attenzione da parte dei filosofi. La
filosofia stessa è nata da un moto di meraviglia che ha spinto
l’uomo a porsi delle domande su ciò che gli sta intorno, è innata
in lui e per questi motivi è indispensabile perché ci fa apprendere
e conservare nella memoria ciò che prima ignoravamo.
Individuo
maggiormente l’ammirazione nei bambini. Ancora inesperti del mondo,
guardano con gli occhi della meraviglia il mondo che li circonda. Non
è difficile paragonare il filosofo ad un bambino poiché entrambi
possiedono la capacità di stupirsi, di ammirare. Il romanzio “il
mondo di Sofia” di Jostein Gaarder così riporta: “L’unica cosa
di cui abbiamo bisogno per diventare buoni filosofi è la capacità
di stupirci. Tutti i bambini piccoli ce l’hanno. E ci mancherebbe
altro. Dopo solo pochi mesi di vita cominciano a percepire una realtà
nuova fiammante. […] Tuttavia, molto prima che il piccolo impari a
parlare nonché a pensare in modo filosofico, il mondo sarà
diventato per lui un’abitudine”. Così è spiegato che i bambini,
finchè tutto della realtà è ancora nuovo, hanno sete di
conoscenza, di imitare gli adulti, di fare le loro prime esperienze,
ma quando essi crescono perdono la capacità di meravigliarsi e
cadono nell’abitudine, diventano grandi.
Quando
i bambini fanno oh Che meraviglia, che meraviglia Ma che scemo
vedi però però E mi vergogno un po’ Perche non so più fare
oooooooh E fare tutto come mi piglia Perche i bambini non hanno
peli Né sulla pancia, né sulla lingua
I bambini Sono
molto indiscreti, ma hanno tanti segreti Come I poeti I bambini
volan la fantasia e anche qualche bugia O mamma mia... Bada Ma
ogni cosa e chiara e trasparente Che quando un grande piange I
bambini fanno oh Ti sei fatto la bua e colpa tua Quando i
bambini fanno oh Che meraviglia, che meraviglia Ma che scemo
vedi però però E mi vergogno un po’ Perche non so più fare
oh Non so piu andare sull'altalena Di un fil di lana non so piu
fare una collana
Lalalalalalala
Fin che i cretini
fanno Fin che i cretini fanno Fin che i cretini fanno boh Tutto
resta uguale Ma se i bambini fanno ohh Basta la vocale Io mi
vergogno un po’ Invece i grandi fanno no Io chiedo asilo, io
chiedo asilo Come i leoni io voglio andare a gattoni.. E ognuno
e perfetto Uguale il colore Evviva i pazzi che hanno capito
cos'è l'amore E tutto un fumetto di strane parole Che io non
ho letto Voglio tornare a fare oh Voglio tornare a fare
oh Perché i bambini non hanno peli Né sulla pancia né sulla
lingua..
post di Damiano Gammino, 4 E
Nel secolo barocco il poeta napoletano Gianbattista Marino, ha utilizzato la sua esuberanza formale(fatta di sovrabbondanti figure retoriche ed ironia), per suscitare la meraviglia degli intellettuali del suo tempo abituati solo ad espressioni classiche misurate: “E’ del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo, chi non sa far stupir, vada alla striglia! (da La Murtoleide: Fischiate del cav. Marino)” L’arte in tutte le sue forme espressive, può dirsi veramente tale quando provoca in chi l’osserva delle emozioni, ma molto spesso dietro gli artifici da essa espressa, non si scopre nulla di significativo, come accade in molti spartiti musicali caratterizzati da virtuosismi. Non è certo questa la condizione di Plauto, che nella commedia latina del III sec. a.C. cerca la meraviglia attraverso l’uso dei colpi di scena e dei sosia o di Goldoni che, molti secoli dopo sceglierà dalla realtà i particolari più ridicoli da inserire nel teatro, proprio per meravigliare e divertire. E se la meraviglia può essere considerata l’esca che predispone l’animo ad accogliere una novità, è chiaro che essa rappresenta come una soglia, una dimensione rallentata, oltre la quale può esserci l’angoscia e l’assenza delle parole. E’ questa la situazione di chi si trova, ad esempio, all’improvviso di fronte ad una voragine o ammira un paesaggio in tempesta, scoprendosi sbigottito e pieno di ammirazione intrisa da paura.
Questo sentimento ambiguo è a mio avviso ben rappresentato dal dipinto: “Viandante sul mare di nebbia” del 1818 di Caspar David Friedrich. Bombardato da innumerevoli informazioni l’uomo contemporaneo non sperimenta facilmente la meraviglia di fronte ad eventi piccoli e grandi resi deformi dall’eccesso o dal consumismo(vedi il Natale ridotto a luci e panettoni). Forse ancora chi è nell’età dell’innocenza può godere dell’esperienza della meraviglia fino in fondo, apprezzando aspetti della realtà nascosti dalle disillusioni dell’adolescenza e dell’età adulta, come accade ad Alice nella favola: “Alice nel paese delle meraviglie” ed a molti altri personaggi fiabeschi, che si muovono fra sogni ed avventura. Gli esempi fino a qui osservati sono solo alcuni dei possibili per una passione quale è la meraviglia, che trova espressione in molti aspetti della vita e coloro i quali, almeno una volta nell’esistenza non l’hanno sperimentata non possono dirsi veramente umani.
Cartesio
definisce la gioia come una piacevole emozione dell'anima in cui
consiste il godimento che essa ha del bene ,che le impressioni del
cervello lle rappresentano come tali. Un'emozione che si differenzia
dall'amore solo per la diversa "frequenza del polso".
Ho cercato altre presentazioni della gioia nella nostra cultura.
In primo luogo vorrei sottolineare la presenza della Gioia nell'artecon
LE BAL DU MOULIN DE LA GALETTE di Renoir.
Le
bal du moulin de la galette è un dipinto di Pierre-Auguste Renoir a
olio su tela realizzato nel 1876 e conservato nel Museo d'Orsay di
Parigi. Renoir era maestro nel cogliere i comuni eventi quotidiani.
In questo capolavoro dell'impressionismo fissa un momento della vita
parigina in un'atmosfera di felice abbandono, ritraendo la
spensieratezza e il gusto della Belle Époque: il Moulin de la
Galette, locale allestito in un vecchio mulino in cima alla collina
di Montmartre, il quartiere degli artisti.
In
esso sono sintetizzati soprattutto quello spirito giovane e ottimista
che caratterizza i pittori, ma anche quella gioia di vivere,
tipicamente parigina, che coinvolge anche le classi popolari che
trovano i loro luoghi di svago nei bar lungo la Senna per una vita
apparentemente senza pensieri.Tutto il quadro è pervaso da una
sensazione rilassata e tranquilla. Le persone sono tutte sorridenti e
in questo modo suscitano gioia e spensieratezza all'osservatore. La
sensazione è che il quadro sia il fotogramma di un film in continuo
svolgimento e ciò serve appunto non a raccontare una storia ma ad
esprimere in profondità una sensazione vitale.
Il tema della gioia in ambito musicale lo ritrovo nella canzone
"GIOIA" dei
MODA'.
Il
messaggio di questa canzone è farci capire che a volte la nostra
gioia può consistere in qualcosa di piccolo e semplice, non
necessariamente in qualcosa di costoso e grande ed inoltre ci insegna
che le difficoltà non sono sinonimo di negatività.
"Sognare
di volare e avere sempre il bisogno,
di
nuove sensazioni per cancellare un ricordo.
E
non esiste un cielo, senza stelle se resto
ad
occhi chiusi ed oltre, oltre le nuvole guardo.
Eppure
gioia,
se
penso che son vivo,
anche
in mezzo al casino.
Eppure
gioia,
se
penso che da ieri,
io
sono ancora in piedi.
Pensare
di star male è non avere rispetto,
verso
chi sta peggio,
verso
chi invece è già morto.
Eppure
gioia,
se
penso che son vivo,
anche
in mezzo al casino.
Eppure
gioia,
se
penso che da ieri,
io
sono ancora in piedi.
Distendersi
su un prato e respirare la luce,
confondersi
in un fiore e ritrovarsi a sentire,
l'odore
dell'estate, la fatica delle salite,
per
apprezzarle meglio, quando saranno discese.
Eppure
gioia,
se
penso che son vivo,
anche
in mezzo al casino.
Eppure
gioia,
se
penso che da ieri,
io
sono ancora in piedi."
Alla gioia sono dedicate le parole di Madre Teresa di Calcutta nella poesiaSULLA
GIOIA:
"Un
cuore gioioso è il normale risultato
di
un cuore che arde d'amore.
Lagioia
non è semplicemente una questione di temperamento,
è
sempre difficile mantenersi gioiosi:
una
ragione di più per dover cercare di attingere
alla
gioia e farla crescere nei nostri cuori.
La
gioia è preghiera; la gioia è forza; la gioia è amore.
E
più dona chi dona con gioia.
Ai
bimbi e ai poveri, a tutti coloro che soffrono e sono soli,
donate
loro sempre un gaio sorriso;
donate
loro non solo le vostre premure, ma anche il vostro cuore.
Può
darsi che non si sia in grado di donare molto,
però
possiamo sempre donare la gioia
che
scaturisce da un cuore colmo d'amore.
Se
nel vostro lavoro incontrate difficoltà e le accettate con gioia,
con
un largo sorriso, in ciò, al pari di molte altre cose,
vedrete
le vostre opere buone.
E
il modo migliore per dimostrare la vostra gratitudine
consiste
nell'accettare ogni cosa con gioia.
Se
sarete colmi di gioia, la gioia risplenderà nei vostri occhi
e
nel vostro aspetto, nella vostra conversazione e nel vostro
appagamento.
Non
sarete in grado di nasconderla poiché la gioia trabocca.
La
gioia è assai contagiosa.
Cercate,
perciò, di essere sempre
traboccanti
di gioia dovunque andiate.
...
La
gioia dev'essere uno dei cardini della nostra vita.
È
il pegno di una personalità generosa.
A
volte è altresì un manto che avvolge
una
vita di sacrificio e di donazione di sé.
Una
persona che possiede questa dote spesso raggiunge alti vertici.
Splende
come un sole in seno a una comunità.
...
Che
Dio vi renda in amore tutto l'amore che avete donato
o
tutta la gioia e la pace che avete seminato attorno a voi,
da
un capo all'altro del mondo."
Ed infine la Gioia secondo Diego Valeri nella sua poesia LA
GIOIA PERFETTA: basta un segno di vita per ridare gioia ad un vicolo abbandonato.
"Com'è
triste il giorno di maggio
dentro
al vicolo povero e solo!
Di
tanto sole neppure un raggio;
con
tante rondini, neanche un volo.
Pure
c'era in quello squallore,
in
quell'uggia greve e amara,
un
profumo di cielo in fiore,
un
barlume di gioia chiara.
C'era
in alto una voce di mamma,
così
calma, così pura!
che
cantava la ninna nanna
alla
propria creatura.
C'era...
c'erano tante rose
affacciate
ad una finestra,
che
ridevano come spose
preparate
per la festa.
C'era
seduto sui gradini
d'una
casa di pezzenti,
un
bambino piccino, piccino,
dai
grandi occhi risplendenti.
E
poi dopo non c'era più nulla...
Ma,
di maggio, alla via poveretta
basta
un bimbo, un fiore, una culla
per
formare una gioia perfetta."
post di Giuliana Spidaleri, classe 4 E
La gioia, secondo Cartesio, consiste nel godimento da parte dell’anima del bene che le viene rappresentato come proprio. Essa deriva dalle nostre opinioni di possedere un bene. Di solito la gioia segue al piacere.
La gioia si può presentare sotto varie forme.
Possiamo ad esempio trovarla nella musica con "Inno alla Gioia" di Beethoven, inno ufficiale dell'Unione europea, adottato nel 1972
Questo brano è una marcia di gioia, festante, che accompagna l'uomo che percorre il cammino gioioso della vita. Infatti, l’Inno alla gioia ,oltre ad essere un capolavoro della musica classica, è soprattutto un grandissimo messaggio di pace e di fratellanza. Con tale composizione Beethoven volle formulare un aperto invito alla fratellanza universale; e proprio per rendere tale messaggio il più chiaro possibile egli decise di far cantare nel finale un testo del poeta tedesco a lui contemporaneo, Friedrich von Schiller. L'ode "An die Freude (Alla Gioia)" è una lirica nella quale la gioia è intesa non come semplice spensieratezza e allegria, ma come risultato a cui l'uomo giunge quando si libera dal male, dall'odio e dalla cattiveria.
Troviamo la gioia nell’ambito religioso con le parole di Papa Benedetto XVI:
“Le gioie autentiche, quelle piccole del quotidiano o quelle grandi della vita, trovano tutte origine in Dio”.
La gioia può essere presentata anche attraverso la poesia. Come in questo testo “Canta la gioia” di Gabriele D’Annunzio.
“Canta la gioia! Io voglio cingerti
di tutti i fiori perchè tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice!
Canta l’immensa gioia di vivere,
d’essere forte, d’essere giovine,
di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci,
di por le mani audaci e cupide
su ogni dolce cosa tangibile,
di tendere l’arco su ogni
preda novella che il desìo miri,
e di ascoltar tutte le musiche,
e di guardar con occhi fiammei
il volto divino del mondo
come l’amante guarda l’amata,
e di adorare ogni fuggevole
forma,ogni segno vago, ogni immagine
vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza ne l’ora breve.
Canta la gioia! Lungi da l’anima
nostra il dolore, veste cinerea.
E’ un misero schiavo colui
che del dolore fa sua veste.
A te la gioia, Ospite! Io voglio
vestirti da la più rossa porpora
s’io debba pur tingere il tuo
bisso nel sangue de le mie vene.
Di tutti i fiori io voglio cingerti
trasfigurata perchè tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa invincibile creatrice!”
D’Annunzio innalza un vero e proprio inno alla Gioia. Gioia di vivere, di toccare, di mordere la vita con voracità, di avvinghiare l’esistenza con mani audaci, di carpire con sguardi voluttuosi tutto ciò che ci circonda, in un vortice di sensualità che solo il Poeta riesce a rendere nella sua vertigine.
Anche nell’arte abbiamo la presenza della gioia. Nel quadro “La gioia di vivere” di Henri Matisse (1906) ad esempio…
Matisse in questo dipinto decise di rappresentare una scena che facesse provare allo spettatore una sensazione di gioia, tranquillità e serenità. Egli infatti fa parte della corrente dei pittori espressionisti francesi chiamati Fauves.
La tecnica è leggermente puntinista, Matisse rappresenta dei nudi femminili dipinti a macchie, senza rispettare i colori naturalistici, e fonde uomo e natura in una sorta di ritorno al primitivo mentre la forma dei soggetti viene armonizzata e semplificata. Anche il paesaggio presenta colori innaturali, come ad esempio l'albero rosa, che è lo stesso colore utilizzato per la pelle delle persone, quasi a sottolineare l'unione tra uomo e natura. Per la prima volta, Matisse deformò le linee del corpo umano, elemento visibile in tre delle bagnanti ivi raffigurate. Il quadro ritrae un esterno, ma non è dipinto dal vero: a Matisse non interessava l’aria aperta, preferiva il chiuso di una stanza.