Lo stato dell'uomo che il tempo ha cacciato in un mondo interiore, può essere o soltanto una morte perpetua se egli in esso si vuol mantenere o, se la natura lo spinge alla vita, non può essere che un anelito a superare il negativo del mondo sussistente per potersi trovare e godere in esso, per poter vivere.
La sua sofferenza è legata con la coscienza dei limiti, a causa dei quali egli disprezza la vita così come essa gli sarebbe permessa: egli vuole il proprio soffrire; mentre invece il soffrire dell'uomo che non ha riflessione sul proprio destino è senza volontà, poiché egli onora il negativo, i limiti, solo nella forma della loro esistenza giuridica e autoritaria come invincibile, e prende le proprie determinatezze e le loro contraddizioni come assolute, e ad esse, anche perfino se esse ledono i suoi impulsi, sacrifica sé e gli altri.(...)
Tutti i fenomeni di questo tempo mostrano che la soddisfazione nella vecchia vita non si trova più; essa era un limitarsi a una signoria ordinarissima sulla nostra proprietà, un considerare e un godere il proprio piccolo mondo nella sua piena sudditanza, e poi anche un autoannientamento che conciliava quella limitazione, e un elevarsi nel pensiero del cielo.
Da una parte la necessitas del tempo ha intaccato quella proprietà, dall'altra i suoi doni hanno tolto nel lusso la limitazione, e in ambedue i casi l'uomo è stato fatto signore e il suo potere sulla realtà elevato al sommo. Sotto questa arida vita d'intelletto per un verso è cresciuta la cattiva coscienza di rendere assoluta la nostra proprietà - cose - e con ciò per un altro verso è cresciuto il soffrire degli uomini; e il soffio di una vita migliore ha toccato questo tempo. [...]
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