"Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice" |
post di Giusy Lo Faro, 5 C
Ho scelto Il mito di Sisifo come lettura estiva perché avevo già letto alcune opere di Albert Camus e la curiosità mi ha spinta ad approfondire la conoscenza del
pensiero di questo autore.
Uno dei temi trattati da Camus, soprattutto in
questo saggio filosofico, è quello del suicidio, accompagnato dalle molteplici
domande che l'uomo si pone sulla propria esistenza ed una di queste è
"vale la pena vivere questa vita che possediamo, nonostante la sua
assurdità?".
La singolare risposta di Camus la considero attuale: infatti
egli crede che l'uomo possa vivere felice, ma per farlo deve alienare il
proprio essere, non vivendo a pieno ciò che realmente è. Crede inoltre che la
felicità sia il fine ultimo dell'uomo, impossibile, però, da raggiungere
attraverso il rispetto delle leggi morali ed etiche.
Sisifo riveste il ruolo di
"eroe assurdo", non solo per le passioni che lo tormentano, ma anche
a causa dell'animo ribelle che lo conduce a non sottostare agli ordini degli
dei, rinnegando la morte a nome della propria vita. La condanna a
questo suo atto sarà pronunciata da Zeus, che lo costringerà a portare sulla
cima di un monte un enorme macigno ed è qui che, a mio parere, assume significato la
citazione emblematica di tutto il saggio: "anche la lotta verso la cima
basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice". Con ciò credo che l'autore voglia far intendere al suo lettore che
la felicità assoluta non risiede nella risposta ad ogni nostro quesito
esistenziale, ma è possibile ritrovarla nella sperimentazione, per quanto
assurda possa essere la vita che siamo condannati a vivere.
Ciò che più mi ha colpita di quest'opera è stato ritrovare un'analisi
approfondita di uno dei personaggi appartenenti ai Demoni di Dostoevskij, il signor Kirillov, un ingegnere costruttore dei piú insigni.
Camus sottolinea la scelta del suicidio
intrapresa dal personaggio, ma qual è il punto comune che lega Kirillov e
Sisifo? Anche in questo atto è possibile ritrovare la figura dell'eroe assurdo.
Kirillov pone a se stesso due quesiti: nel primo si chiede se lui e gli altri
uomini siano soltanto marionette manovrate da Dio, mentre nel secondo si chiede
se la divinità in questione esista realmente. Crede inoltre che l'unico modo
per poter dimostrare la verità, ovvero l'inesistenza di Dio, consista nel porre fine
alla propria vita. A questo punto vi è il momento della "divinizzazione
dell'uomo", così definita dallo stesso Kirillov, che consiste nel rendere
l'uomo suo stesso padrone, mosso dalla sua stessa volontà e non da quella
altrui, soprattutto di Dio.
Ammetto che si tratta di una lettura abbastanza complicata ed
impegnativa, ma lo sforzo allieta il lettore, attraverso gli
"intrighi" filosofici dello scrittore.
Un saggio che invita a
riflettere tutti, soprattutto chi vive la propria vita a passo con il tormento.
per collegare con F. M. Dostoevskij
da F. M. Dostoevskij, I demoni, Garzanti, Milano, 1977, vol. I, pagg. 93, 115-118, 239-241 e vol. II, pagg. 655-659
“Io... io lo so ancora poco... due pregiudizi li trattengono, due cose; due soltanto; una molto piccola, l’altra molto grande. Ma anche la piccola è molto grande.”
“Qual è, dunque, quella piccola?”
“Il dolore.”
“Il dolore? Possibile che sia cosí importante... in questo caso?”
“È la primissima cosa. Vi sono due categorie: quelli che si uccidono o per una gran tristezza, o per la rabbia, o sono pazzi, o che so io... quelli si uccidono di colpo. Quelli pensano poco al dolore, ma si uccidono di colpo. Mentre quelli che lo fanno a mente lucida, quelli pensano molto.”
“Vi sono, forse, di quelli che lo fanno a mente lucida?”
“Moltissimi. Se non ci fosse il pregiudizio, sarebbero di piú; moltissimi; tutti.”
[...] “Bene, e l’altra causa, quella grande?”
“L’altro mondo!”
“Cioè, il castigo?”
“Questo è indifferente. L’altro mondo; solo l’altro mondo.”
“Non vi sono forse degli atei che non credono affatto nell’altro mondo?”
Di nuovo non rispose.
“Giudicate forse secondo voi stesso?”
“Ognuno non può giudicare che secondo se stesso,” disse arrossendo. “La piena libertà ci sarà allora, quando sarà indifferente vivere o non vivere. Ecco lo scopo di tutto.”
“Lo scopo? Ma allora nessuno, forse, vorrà piú vivere?”
“Nessuno,” disse risolutamente.
“L’uomo ha paura della morte, perché ama la vita, ecco come la intendo io,” osservai “e cosí ha ordinato la natura.”
“È vile, e sta qui tutto l’inganno!” scintillarono i suoi occhi. “La vita è dolore, la vita è paura, e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura. Ora l’uomo ama la vita, perché ama il dolore e la paura. E cosí hanno fatto. La vita si concede a prezzo di dolore e di paura, e sta qui tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora quell’uomo. Vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. A chi sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio. Mentre l’altro Dio non vi sarà.”
“Dunque, l’altro Dio c’è pure, secondo voi?”
“Non c’è, ma c’è. Nel masso non c’è il dolore, ma nella paura del masso c’è il dolore. Dio è il dolore della paura della morte. Chi vincerà il dolore e la paura, quello diverrà Dio. Allora vi sarà la vita nuova, l’uomo nuovo, tutto sarà nuovo.
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