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martedì 23 ottobre 2012

Agostino risponde ad Epicuro







Agostino saluta Epicuro,

possano le nostre menti scontrarsi su infinite questioni, ma su una siano d'accordo, l'innegabile imperfezione della natura umana. Ne è testimone la lettera giuntami stamane, indirizzata in vero ad un tale Meneceo.
Nonostante tutto, talvolta l'errore umano offre spunti di riflessione e dalla lettura della tua epistola e degli altri tuoi scritti, ho deciso di darti risposta secondo il mio credo.
A tuo dire, il fine ultimo dell'uomo è il raggiungimento della pura felicità, o come preferisci chiamarla, l'assenza di dolore.
È evidente che questo tuo pensiero deriva da una visione del reale prettamente immanentistica e materialista. D'altronde proprio tu concepisci il mondo sensibile, l'unico concesso, come un agglomerato di atomi e vuoto.
Sorge spontaneo domandarsi dunque, da dove abbiano avuto origine questi elementi e soprattutto chi li abbia creati, dato che saremo concordi nell'affermare la necessità del rispetto dell'imprescindibile principio eleatico sull'essere.
Permettimi di illustrarti ciò che io pongo come principio, fine e causa del creato.
A differenza delle tue divinità, confinate negli intermundia, l'unico Dio necessario si occupa delle vicende degli uomini creati per sua volontà, con e per amore.
Dopo aver letto queste ultime righe, ti starai sicuramente interrogando sull'esistenza del male in un mondo amato e regolato da un Dio misericordioso. Per comprendere questo punto, occorre che tu conosca la storia della Genesi, ed in particolare l'episodio del peccato originale che ha determinato la nascita del libero arbitrio umano.
L'uomo è dunque libero di compiere il bene allo stesso modo del male, e solo la concessione divina può portarlo alla salvezza.
Quello che tu usi chiamare clinamen, è proprio la Grazia, imperscrutabile e inconoscibile all'uomo, apparentemente casuale ma in realtà frutto di un ordinato disegno provvidenziale.
In conclusione, dunque, la felicità per l'uomo corrisponde alla salvezza dal peccato, e la vera beatitudine si raggiunge in una vita ultraterrena in comunione con Dio.

Sono fiducioso nel pensare che queste mie poche righe destino in te almeno il dubbio, e ti facciano riflettere sulla tua dottrina, degna comunque di stima e rispetto.



Questa lettera è stata scritta da Arianna Miano della classe 4 H, come ipotetica risposta del più importante "Padre della Chiesa",  Agostino di Ippona, alle parole del  filosofo Epicuro sulla felicità.


Per leggere la Lettera a Meneceo di Epicuro


per conoscere meglio
 AGOSTINO



4 commenti:

  1. Caro Epicuro,
    Dio ha voluto che capitasse tra le mie mani una lettera che, parecchi secoli fa, inviasti a Meneceo.
    Il mio nome è Agostino, sono uomo di Chiesa e amante della filosofia, proprio come te. Ho letto la tua epistola e su essa ho riflettuto per molte mie giornate. Tu parli di “confutazione dell’immagine erronea degli dei”. Tu ritieni che gli dei esistano ma si disinteressino totalmente delle attività dell’uomo, e non mi trovi d’accordo. Io ritengo che esista un unico Dio, che quest’ultimo ci abbia creati tutti per amore e che, per salvare l’umanità, abbia sacrificato persino suo figlio. Io ho fede, credo in ciò che le Sacre Scritture tramandano. Tuttavia, la mia non è solo fede. Io utilizzo la ragione per poter credere; credo per comprendere, per poter capire tutto ciò che mi circonda, e comprendo per credere. Un altro punto su cui mi sono soffermato parecchio tempo a pensare è quanto tu dici riguardo la morte. Sono d’accordo su ciò che tu scrivi: è vero infatti che quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi, ma io ritengo che la morte, anzi, in particolar modo la vita dopo la morte, vada temuta solo da coloro che in vita peccano e non si pentono di ciò. Ma non tutti devono temerla, perché la misericordia porta Dio a concedere la grazia, che corrisponde alla salvezza e quindi alla felicità. Tu ritieni che la felicità si raggiunga solamente attraverso la filosofia ma in verità se non hai fede non potrai mai raggiungere una felicità completa.
    Capisco certamente le tue difficoltà nel comprendere le mie parole poiché la fede nel mio Dio era ignota al tuo tempo e ai suoi uomini, ma so della tua saggezza e ad essa affido il mio pensiero.
    Saluti
    Agostino

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  2. Agostino ad Epicuro salute.
    Il mio nome non le sarà sicuramente noto poiché ho vissuto alcuni secoli dopo la sua morte; la sua dottrina invece a me è molto familiare dato il grande impulso che ha dato all’evoluzione del pensiero filosofico. Tuttavia i tanti anni che da lei mi separano mi hanno permesso di riprendere e approfondire il pensiero del passato e sviluppare nuove strade per la conoscenza del mondo, di tutto ciò che ne fa parte e di Chi lo comanda. Mi sia quindi permesso esporre qui alcune riflessioni che saranno indubbiamente utili per ottenere una “formula della felicità”. È possibile credere che il mondo sia mosso dal caso? L’uomo deve conformarsi al volere del caso? Quindi l’uomo è impotente davanti al volere del caso? È possibile credere che gli dei esistano ma non si interessano agli uomini? A parer mio tutto è retto da Uno e Uno solo: Dio. Egli concepì la creazione dell’universo non semplicemente come un processo necessario, ma come un libero atto d’amore. Dio è perfezione. Pertanto chi vuole arrivare alla felicità deve tendere a Dio. Per raggiungere questo obiettivo dovrà fare appello alla fede e alla ragione: “comprendi per credere, credi per comprendere”. Si armi di volontà, eserciti la ragione e soprattutto impari a conoscere la sua anima poiché lì l’Illuminazione divina interverrà indirizzandola verso il suo fine ultimo. Nasciamo peccatori eppure nella nostra breve vita possiamo riscattarci. Dio infatti può rimettere l’uomo in condizione di lottare in modo efficace contro le tentazioni mondane e imboccare la strada che conduce alla salvezza: ciò ci è possibile grazie alla concessione della Grazia che ci ridona la libertà di cui godevamo inizialmente.
    Ricorda infine: “la felicità è desiderare quello che si ha”; Dio è in noi e noi dobbiamo affidarci a Lui.
    Spero che queste mia parole siano per lei uno stimolo a riflettere sulla sua dottrina. Io pregherò Dio affinchè possa indirizzarla verso la salvezza eterna.

    In fede, Agostino

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  3. Caro Epicuro,
    mi è capitato per caso di avere tra le mani la lettera che qualche tempo fa indirizzasti a Meneceo e, pur consapevole del fatto che questa mia risposta difficilmente potrà essere da te letta, ti scrivo per esporre i punti con cui mi trovo in accordo o in disaccordo.
    Piuttosto che la tua affermazione “Liberati dalle paure e troverai la felicità” io direi, citando un testo biblico, “Cerca e troverai”. Ti dico ciò perché per me la felicità risiede in primo luogo nella sapienza, nel vivere in conformità a quanto ha di meglio la natura umana, ossia in conformità alla ragione, che penso si raggiunga con il contributo decisivo che viene da Dio, che è suprema “ragione”, “Verbo” e “Verità”.
    La Verità non è altro che la parola di Dio, essa è eterna e quindi continuerà a sussistere anche nell’ipotesi che il mondo venga distrutto. Per me è la fede il fondamento della razionalità, infatti bisogna credere per comprendere e comprendere per credere.
    Tu inoltre, credi che l’uomo per raggiungere la felicità non debba preoccuparsi di eventuali punizioni o pene inflittegli dagli dei, perché essi, essendo perfettamente felici, ignorano chi non è loro pari e quindi non si curano dell’operato dell’uomo. Al contrario di te invece, penso e sono convinto che l’uomo che pecca per suo libero arbitrio non deve avere paura del Dio Onnipotente perché con la sua infinita misericordia lo può rimettere in condizioni di lottare contro le tentazioni mondane e di imboccare la strada che conduce alla salvezza.
    Spero che ci sarà occasione per potermi confrontare nuovamente con altri concetti fondamentali della tua dottrina.
    Saluti, Agostino.

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  4. Caro Epicuro,
    considerando che errare è umano,la tua lettera indirizzata a Meneceo si ritrova tra le mie mani per via di un errore postale. Ciò non lo reputo un male! La tua lettera infatti mi è servita da stimolo per trarre alcune mie personali conclusioni che ho deciso di qui esporti. Da sempre l'uomo nel suo percorso di vita aspira al raggiungimento della felicità come desiderio prioritario. Io reputo di essere stato felice quando, recatomi a Milano, conobbi alcuni filosofi platonici e incontrai Ambrogio, vescovo della città. Da essi ho appreso molto e sono arrivato a capire che Dio (e non gli dei) fa parte della felicità umana. Egli ne traccia il sentiero, ce ne indica la direzione. Come dici tu, la felicità è si un processo che appaga un desiderio, ma affinchè sia autentica occorre conoscere quale sia il vero bene. Parlando del male poi, ritengo che esso non appartiene all'ordine dell'essere, ma a quello del non essere. Il male non ha realtà ontologica, è privazione, è venire meno del bene. Sono d'accordo con te, quindi, sul fatto che la felicità non ha età, che va accolta sia se si è giovani che vecchi. Essa però è voluta da Dio così come noi siamo stati da Lui voluti sulla Terra. L'uomo per far ciò deve naturalmente aver fede in Dio, perchè la ragione, come unica e sola fonte di conoscenza non può giungere alla verità. Tutto ciò io lo racchiudo nell'espressione: credo ut intelligam, intelligo ut credam.

    P.S. Sarò lieto di ricevere una tua risposta in merito a ciò che ti ho esposto. Non chiederti "quando" arriverà, poichè il tempo è solo dell'anima, e la mia farò attendere serena a lungo.

    Agostino



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