Agostino saluta Epicuro,
possano le nostre menti scontrarsi su infinite questioni, ma su una siano d'accordo, l'innegabile imperfezione della natura umana. Ne è testimone la lettera giuntami stamane, indirizzata in vero ad un tale Meneceo.
Nonostante tutto, talvolta l'errore umano offre spunti di riflessione e dalla lettura della tua epistola e degli altri tuoi scritti, ho deciso di darti risposta secondo il mio credo.
A tuo dire, il fine ultimo dell'uomo è il raggiungimento della pura felicità, o come preferisci chiamarla, l'assenza di dolore.
È evidente che questo tuo pensiero deriva da una visione del reale prettamente immanentistica e materialista. D'altronde proprio tu concepisci il mondo sensibile, l'unico concesso, come un agglomerato di atomi e vuoto.
Sorge spontaneo domandarsi dunque, da dove abbiano avuto origine questi elementi e soprattutto chi li abbia creati, dato che saremo concordi nell'affermare la necessità del rispetto dell'imprescindibile principio eleatico sull'essere.
Permettimi di illustrarti ciò che io pongo come principio, fine e causa del creato.
A differenza delle tue divinità, confinate negli intermundia, l'unico Dio necessario si occupa delle vicende degli uomini creati per sua volontà, con e per amore.
Dopo aver letto queste ultime righe, ti starai sicuramente interrogando sull'esistenza del male in un mondo amato e regolato da un Dio misericordioso. Per comprendere questo punto, occorre che tu conosca la storia della Genesi, ed in particolare l'episodio del peccato originale che ha determinato la nascita del libero arbitrio umano.
L'uomo è dunque libero di compiere il bene allo stesso modo del male, e solo la concessione divina può portarlo alla salvezza.
Quello che tu usi chiamare clinamen, è proprio la Grazia, imperscrutabile e inconoscibile all'uomo, apparentemente casuale ma in realtà frutto di un ordinato disegno provvidenziale.
In conclusione, dunque, la felicità per l'uomo corrisponde alla salvezza dal peccato, e la vera beatitudine si raggiunge in una vita ultraterrena in comunione con Dio.
Sono fiducioso nel pensare che queste mie poche righe destino in te almeno il dubbio, e ti facciano riflettere sulla tua dottrina, degna comunque di stima e rispetto.
Questa lettera è stata scritta da Arianna Miano della classe 4 H, come ipotetica risposta del più importante "Padre della Chiesa", Agostino di Ippona, alle parole del filosofo Epicuro sulla felicità.