Il filosofo e futuro Premio Nobel Henri Bergson e il futuro autore della Recherche erano in un certo senso parenti. Bergson aveva sposato infatti una cugina di Marcel, Louise Neuburger.
Entrambi tengono molto a sottolineare la loro indipendenza intellettuale:
Bergson scrive che non c'è alcun rapporto tra il suo pensiero e altre dottrine che potrebbero far ritenere, a chi lo leggesse distrattamente, di esserne stato influenzato.
Da parte sua, Proust rifiuta decisamente, per Swann, l'etichetta di "romanzo bergsoniano".
Tuttavia è innegabile la presenza di influenze bergsoniane significative nell'opera di Proust
«Vi è un flusso continuo […]. È una successione di stati,
ciascuno dei quali preannunzia quello che lo segue e contiene quello che
lo precede. In verità, essi non sostituiscono stati molteplici se non
quando già son passato oltre ad essi, e mi rivolgo indietro per osservarne
la traccia: mentre li provavo erano così solidamente organizzati, così
profondamente animati di una vita comune, che non avrei saputo dire
dove uno qualsiasi di essi finisse e l’altro cominciasse. In realtà, nessuno
di essi comincia o finisce, tutti si prolungano gli uni negli altri»
«Le nostre percezioni sono senza
dubbio impregnate di ricordi, e inversamente un ricordo (…) non
ridiventa presente che prendendo a prestito qualche percezione del corpo
in cui esso s’inserisce. Così questi due atti, percezione e ricordo, si
compenetrano sempre, si scambiano dunque qualcosa delle loro sostanze
mediante un fenomeno d’endosmosi»
«Non vi è coscienza senza memoria, non continuazione di uno stato
senza che si aggiunga al sentimento presente il ricordo dei momenti
passati. In questo consiste la durata. La durata interiore è la vita
continua di una memoria che prolunga il passato nel presente: o che il
presente racchiuda esplicitamente l’immagine, senza posa crescente, del
passato […]. Senza questo sopravvivere del passato nel presente non vi
sarebbe durata ma solo istantaneità»
«Che cos’è dunque che le oscillazioni di un pendolo misurano? A
rigore, si ammetterà che la durata interiore, percepita dalla coscienza, si
confonde con l’incastrarsi dei fatti di coscienza gli uni negli altri,
insieme all’arricchimento graduale dell’io; ma il tempo che l’astronomo
introduce nelle sue formule, il tempo che i nostri orologi dividono in
particelle uguali, quel tempo, si dirà, è un’altra cosa; è una grandezza
misurabile, e di conseguenza omogenea»
Henri Bergson
"Secondo il filosofo francese Bergson, la durata è una specie di
successione che riguarda il presente, il passato e il futuro, e
questa successione ha il carattere di un flusso. La tesi
secondo cui il tempo concretamente sperimentato fluisca,
significa che le sue parti non sono in un rapporto di pura esteriorità le une con le altre. Se ci fosse un distacco assoluto
fra i tre momenti della temporalità, se ci fosse una reciproca
indipendenza come quella che si può scorgere tra due oggetti
distanti nello spazio, allora nulla scorrerebbe.
Da un lato, il
fluire del tempo comporta che qualcosa prima era presente e
ora non lo è più e che diventa appunto passato, dall’altro che
questo passato sia in qualche modo mantenuto nel campo
dell’esperienza attuale. Ciò vuol dire che tale esperienza
passata viene comunque modificata.
Infatti se tutto si
conservasse integralmente, senza alterazioni, non avremmo
affatto la temporalità, ma una stasi perfetta.
Ma la durata sta
tra l’identico e il differente, nel senso che è caratterizzato da
questo continuo e costante flusso che non può essere
interrotto e da una serie di istanti inevitabilmente diversi tra
loro.
Anche per Proust, è la coscienza che ci dà il presupposto
dell’accertamento attraverso l’esperienza della continuità del
tempo, della esistenza di un io permanente. Tale concetto è
chiaro nello splendido passaggio in cui Swann fa riferimento
al suono del campanello della casa dei genitori.
«Il fatto che
dunque questo scampanellio c’era sempre e che così, tra di esso e
l’istante presente, c’era tutto questo passato trascorso in modo indefinito,
che io non sapevo di portare (con me). Quando c’era stato lo
scampanellio io esistevo già e, in seguito, perché io lo udissi ancora, era
necessario che non ci fosse stata discontinuità, che neanche per un istante
io prendessi riposo, io cessassi di esistere, di pensare, di avere coscienza di me, poiché questo istante passato mi appartenesse ancora, si che io
potevo ancora ritrovarlo, potevo ritornarvi, solo che discendessi più
profondamente in me stesso».
Per mezzo del tempo è possibile riunificare le esperienze
passate e presenti. Le nostre azioni sono identificabili e
distinguibili in base alla costellazione spaziale e soprattutto
temporale in cui si realizzano.
«L’istante è qualche cosa che è tempo senza essere nel tempo,
[…]. Esso sfugge all’ordine cronologico, è un altro tempo, come
un’assenza importante, silenzio e sonorità insieme.
Non si tratta di una visione del presente che sostituisce il passato, ma in esso vige un perfetto rapporto di coincidenza e simultaneità; è una presenza che non si divide e un passato che nel contempo si rivela presente, co-implicato con esso»
Non si tratta di una visione del presente che sostituisce il passato, ma in esso vige un perfetto rapporto di coincidenza e simultaneità; è una presenza che non si divide e un passato che nel contempo si rivela presente, co-implicato con esso»
Marcel Proust
fonte:
Proust (1871-1922), in gioventù aveva ascoltato le lezioni del filosofo Henri Bergson (1859-1941), la cui concezione del tempo come dimensione interiore lasciò una grande traccia nella cultura e nella letteratura di primo Novecento. Tale riflessione riprendeva in realtà spunti antichi, presente già nel libro X delle Confessioni di sant'Agostino: secondo quest'ultimo il tempo è una realtà non oggettiva, ma solo soggettiva, una distensione dell'anima. Esso va misurato nell'interiorità dell'individuo, in base a ciò che si è impresso nella sua memoria: il tempo, scrive Agostino, è memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro.
Tempo e durata per Bergson
Bergson sostiene che sussiste una differenza sostanziale fra il tempo esteriore, fondato sulla successione degli istanti, come sono registrati dall'orologio e dal calendario e il tempo interiore.
Quest'ultimo, non descrivibile con il criterio della successione, è il tempo vissuto, la cui prima qualità è la durata.
Bergson polemizza dunque con il concetto fisico-matematico di tempo, assunto dalle scienze esatte. Per Bergson questo tempo non è quello reale, vero, cioè non è il tempo astratto, una successione di istanti statici e uguali. Il tempo come fatto psichico ha invece caratteristiche qualitativi, non quantitativi.
La nostra coscienza vive il tempo come durata, perché gli atti che compongono uno nell'altro:
in altre parole, l'atto presente porta in sé il processo da cui proviene e insieme è qualcosa di nuovo, che contribuirà a far scaturire nuovi atti, in una durata, appunto, senza interruzioni o salti.
Perciò, per Bergson, un ruolo importante nel conoscere viene esercitato dalla memoria. Essa conserva le nostre esperienze passate, ma in modo non statico, perché le fa continuamente interagire con gli stati di coscienza presenti.
La memoria, il tempo e l'arte per Proust
Queste idee esercitarono un notevole influsso sul romanzo novecentesco e su Proust in particolare. Proust constata come il tempo disgreghi e muti ogni cosa: ci fa allontanare dal noi che siamo stati, al punto che neppure più ci riconosciamo. L'unico elemento che possiamo opporre a una simile dissoluzione è la memoria. Non la memoria volontaria, però, attraverso cui noi ci sforziamo di ricostruire il passato, bensì quella involontaria. Essa opera per analogia, nel senso che una sensazione può richiamarne alla mente un'altra analoga, prodottasi nel passato; e non ci fa semplicemente ricordare il passato, ma ci permette di riviverlo, di recuperarlo nella sua pienezza e autenticità. E' un fenomeno di per sé non insolito (in qualche modo tutti lo abbiamo provato), ma che Proust rende, nella Recherche, uno strumento d'indagine privilegiato e sistematico.
In conclusione: il nostro tempo è vivo in noi; il mondo esteriore, in un certo senso, per Proust non esiste, perché rappresenta solo ciò che, in un certo momento, noi creiamo e che, subito dopo, muta con il nostro stato d'animo, sottoposto al fluire del tempo (avviato dall'accendersi della memoria).
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