post di Roberta Raneri, 5 I
appunti sul convegno del 9 e 10 dicembre 2016
“Pier Paolo Pasolini e… la profezia del Mediterraneo”
presso la Casa San Tommaso di Linguaglossa.
"Parlo da utopista, lo so.
Ma non c’è alternativa: si deve essere utopisti oppure sparire”. Proprio con queste parole, nelle quali si concentra quella che è la concezione pasoliniana
in merito all’utopia, inizia la relazione del professore Francesco Coniglione nella giornata del 10 dicembre
a Linguaglossa, con lo scopo di presentare con chiarezza il rapporto e la differenza
tra Mito e Utopia, facendo cosi emergere l’ utopista per eccellenza, Pier Paolo Pasolini.
Secondo il relatore, il pensiero
di Pasolini è quello che più ci aiuta a comprendere cosa si intenda per utopia
o “sogno dell’occidente” e mito. L’utopia non è speranza, né significa pensare
a ciò che possa essere nella sua integrità perfetto poiché l’idea di perfezione
è già frutto della speranza di
reintegrazione di una condizione passata ritenuta ottimale. Solo attraverso i
miti questa idea di perfezione vuole rivivere la condizione originaria, consentendole
di farla emergere anche nei tempi odierni.
Tuttavia, se il mito è sogno dell’immaginazione che guarda al passato,
l’utopia è rappresentata dalla ragione che fa riferimento all’età futura. Secondo
l’opinione del relatore, le utopie moderne riguardano città ideali concepite su un piano
razionale, nate durante l’età della
ragione e nel momento in cui entra in crisi il millenarismo. La realizzazione
dell’utopia avviene attraverso la personificazione dell’anima e quest’ultima non si fonda sulla speranza di
un paradiso, ma su un incremento della conoscenza. Ha pertanto origine dalla scienza e consente all’uomo di uscire
dalla condizione di “ferinità” per accedere ad una società migliore. L’utopia è dunque il sogno dell’età della
ragione, di una umanità uscita dal Medioevo che pone tutte le proprie speranze
nello sviluppo della ragione. Il mito fa riferimento al passato, mentre
l’utopia è completamente rivolta al futuro, in cui bisogna raggiungere una
condizione di progresso.
Riprendendo la filosofia baconiana
, il relatore sostiene che egli non fu un rivoluzionario per le concezioni
scientifiche, ma lo fu perchè immaginò una società utopica governata dai sapienti,
ovvero da coloro che si dedicavano alla conoscenza delle caratteristiche della
natura, affinchè quest’ultima si mettesse a servizio dell’uomo.
Possiamo parlare di utopia all’interno della
società? Il socialismo è la massima espressione di questa concezione di
perfezione, secondo cui ciascuno che
ricopre un ruolo ben preciso ha il compito di restare al proprio posto per una nuova
finalità generale. L’utopia infatti, come già detto, non deve prospettare un ritorno ad uno stato
originario, ma descrivere uno stato o una condizione storica alternativa. Quest’ultima esiste
all’interno della società che crede in se stessa e nelle possibilità della
ragione umana e della rivoluzione futura . Una società che vede il futuro come
pericolo tende a guardare indietro, e quindi verso il mito, considerato dal relatore un ricordo nostalgico,
risalente all’età dell’oro.
Oggi non si scrivono più utopie
ma “distopie”. - Perché?- si chiede il
professore Coniglione.
“Perchè noi non crediamo più
nelle capacità dell’uomo e nella costruzione di un futuro mediante il solo utilizzo della
ragione”
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