Il pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944) fu profondamente ispirato dalla filosofia
esistenzialistica di Kierkegaard, filosofo danese dell'Ottocento (1813-1855).
Emblematico è il fatto che la ricerca
filosofica dell’uno e la creazione artistica dell’altro sono entrambe la risposta
a un’esistenza dolorosa, vissuta
come segno misterioso di un tragico destino.
Kierkegaard (1813-1855) nelle pagine del suo Diario parla di un “grande terremoto”
che sconvolse la sua esistenza e di un “castigo di Dio” abbattutosi sulla sua
anima.
Munch a sua volta scrive: “La mia
arte ha le sue radici nelle riflessioni sul perché non sono uguale agli altri,
sul perché ci fu una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato
gettato nel mondo senza poter scegliere”.
Oltre a ciò, emergono molte affinità tra i temi dell’angoscia e della disperazione come sono trattati da Kierkegaard e le
opere di Munch.
ANGOSCIA, 1894
L'angoscia o smarrimento di
fronte al mondo
I cromatismi violenti e le linee sinuose e dense di questo
quadro, intitolato Angoscia (1894) esprimono lo stesso tono emotivo delle pagine
di Kierkegaard:
“La mia anima è così pesante che
nessun pensiero è capace di portarla, nessun colpo d’ala può sollevarla
verso l’etere. Se essa si muove, non riesce che a sfiorare la terra, come il
volo basso degli uccelli quando minaccia l’uragano. Sulla mia anima incombe un’oppressione greve, un’angoscia che fa
presentire il terremoto” (da Aut-Aut).
I volti lividi
raffigurati da Munch esprimono instabilità,
smarrimento, dubbio di fronte al
mondo. Questo stato d’animo non ha niente a che vedere con la paura, la quale
si riferisce piuttosto a qualcosa di determinato e puntuale. L’angoscia è
sofferenza non tanto per ciò che accade, quanto per qualcosa che può accadere,
è vertigine per quella dimensione
della possibilità che caratterizza l’essere umano. E non è un caso che
l’angoscia di Munch sia un sentimento in un certo senso “collettivo”, che accomuna un corteo
di personaggi dagli sguardi fissi e allucinati.
DISPERAZIONE, 1892
La disperazione o vuoto interiore
Questo quadro si intitola Disperazione (1892). La
scena è dominata da un individuo
solitario, dal profilo indefinito,
come dissolto e diluito sulla tela a
sottolineare la preponderanza del
contenuto interiore su quello esteriore. La disperazione è infatti un’angoscia
“interna” all’anima, cioè un’angoscia individuale,
psicologica: per questo le altre persone
sono ritratte sullo sfondo, lontane e di spalle, nella loro indifferenza.
Anche per Kierkegaard la disperazione riguarda la relazione dell’uomo con se stesso. Essa
è “malattia mortale”, che consiste
nel “vivere la morte dell’io”, il
quale, nel tentativo di essere autonomamente
e autenticamente se stesso, si
scopre inevitabilmente prigioniero della propria finitezza e non
autosufficienza.
L'URLO, 1893
L’urlo della
disperazione
L’Urlo (1893) richiama la situazione solitaria e
intimistica di Disperazione. Anche
nell’Urlo, infatti, non c’è nulla di esterno che sembri indurre
il protagonista della scena a urlare. La “vittima” della disperazione è presa da un terrore che lo assale da
dentro e che si esprime
nell’ossimoro di un urlo “muto”,
perso e inutile in una realtà lontana
(rappresentata dai viandanti sullo
sfondo, dal fiordo con le due barche
e dal campanile che si intravede
sulla destra). Le mani premute sulle orecchie e il lungo steccato che percorre la tela,
quasi a delineare il confine
invalicabile tra l’individuo e il mondo, danno l’idea di un movimento interiore a cui non è concesso di
esprimersi al di là dei confini dell’anima.
da La ricerca del pensiero, Paravia, vol.3
nota storico-biografica:
Negli anni Trenta e Quaranta, la propaganda nazionalsocialista perseguì le opere di Munch, definendole «arte degenerata»: queste misure vessatorie, che vennero adottate anche con le tele di Picasso, Paul Klee, Matisse, Gauguin ed altri artisti moderni, comportarono l'immediata rimozione delle 82 opere munchiane esposte nei musei tedeschi.
Munch ne soffrì amaramente, e a ciò si aggiunse la paura, sorta nel 1940 con l'occupazione nazista della Norvegia, di un imminente sequestro della sua opera omnia.
Munch allora aveva 76 anni, e non era consapevole che ben settantuno sue opere avrebbero fatto poi ritorno in Norvegia, acquistate da collezionisti privati.
Munch morì nella tenuta a Ekely il 23 gennaio 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.
Complimenti per l'articolo, avete sottolineato perfettamente i punti in comune fra questi due geni norvegesi ed è davvero pazzesco vedere come l'arte di Munch riesca a trasmettere perfettamente gli stessi messaggi degli scritti di Kierkegaard
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