« Nel frattempo, il benessere dell’umanità attuale e il suo progresso verso la perfezione finale può essere garantito soltanto da quella disciplina benefica, per quanto severa, alla quale sono già sottoposte tutte le creature animali: una disciplina spietata nell’operare il bene, una legge che, per perseguire la felicità, non devia mai, onde evitare sofferenze parziali o temporanee. La povertà dell’incapace, le disgrazie che colpiscono l’imprudente, la fame dell’ozioso, e tutte le pressioni che il forte fa sul debole, e che lasciano tutti “arenati nella miseria” sono in realtà il segno di una benevolenza tanto vasta e previdente»
Herbert Spencer, Social Statics
Il filosofo inglese Herbert Spencer, nel corso dell’800, fu in grado di sintetizzare ciò che la commistione di darwinismo e di laissez-faire andavano prospettando. Il filosofo britannico applicò i medesimi princìpi della teoria dell’evoluzione e della selezione naturale alla società umana, andando a delineare quello che sarebbe stato poi definito darwinismo sociale.
Egli distingueva all’interno delle singole società l’etica della famiglia – secondo la quale i figli in età immatura devono ricevere una quantità di benefici dai genitori inversamente proporzionale alle loro capacità e abilità – dall’etica dello Stato, secondo cui i singoli membri ricevono una quantità di benefici dallo Stato stesso direttamente proporzionale ai loro meriti. Qualsiasi interferenza tra i due metodi, a detta di Spencer, avrebbe provocato degli effetti distruttivi.
Pertanto, egli condannava qualsiasi tipo di intervento pubblico volto ad aiutare in maniera cieca tutti i bisognosi, poiché esso avrebbe incoraggiato il moltiplicarsi degli individui inferiori; diversamente, egli promuoveva l’aiuto tra i singoli, in quanto esso avrebbe permesso di identificare tutte quelle persone degne di commiserazione. All’interno di questo contesto la selezione naturale, vista come uno strumento salutare, aveva il ruolo di garantire il benessere dell’umanità e il suo progresso verso la “perfezione”, letteralmente sbarazzandosi di tutti quegli individui reputati nocivi per l’intera società, la quale, alla stregua di una specie, è in rapporti di concorrenza o conflittualità con tutte le altre.
Nasceva il darwinismo sociale, in base al quale la selezione naturale veniva individuata come una disciplina benefica volta a garantire il benessere e il progresso dell’umanità
In estrema sintesi, si può dire che il darwinismo sociale si basa sui seguenti assunti:
- sia la società che l'organismo attraversano delle fasi di crescita: il bambino diventa adulto, il paese città e questi passaggi portano ad un aumento di complessità;
- la differenziazione delle strutture determina anche una progressiva differenziazione delle funzioni;
- il tutto si svolge secondo schemi evolutivi che portano inevitabilmente a situazioni di miglioramento e di progresso. Le prime società consistevano di singole famiglie, poi queste si organizzarono in clan, che si riunirono in tribù e queste infine si riunirono in nazioni, la forma migliore dell'organizzazione sociale;
- Ci sono tuttavia fondamentali differenze fra la società e l'organismo: le parti dell'organismo formano un tutto inscindibile, le diverse parti di una società sono libere e relativamente disperse e quindi, mentre le parti di un organismo collaborano insieme per la sopravvivenza di questo, nella società il tutto deve convergere per il benessere del singolo; dal momento che l'evoluzione della società è un processo naturale, anche le disuguaglianze sociali ne sono il frutto inevitabile e naturale.
le parole chiave:
darwinismo sociale
è una corrente di pensiero i cui sostenitori applicano arbitrariamente allo studio delle società umane i principi darwiniani della lotta per la sopravvivenza (struggle for life and death) e della selezione naturale del più adatto, sostenendo che questi debbano essere la regola delle comunità umane. Si tratta di una corrente delle filosofie della vita sviluppata a partire dalla seconda metà del XIX secolo a opera di alcuni pensatori della corrente filosofica del positivismo, in particolare Herbert Spencer (1820-1903), e per tal motivo chiamata anche spencerismo sociale.
La locuzione è rimasta nell'uso corrente soprattutto con significato negativo per indicare teorie razziste.
eugenetica
Disciplina che si prefigge di favorire e sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi dell’ereditarietà genetica. Il termine fu coniato nel 1883 da F. Galton. Sostenuta da correnti di ispirazione darwinistica e malthusiana, l’eugenetica si diffuse inizialmente nei paesi anglosassoni e successivamente nella Germania nazista, trasformandosi nella prima metà del 20° sec. in un movimento politico-sociale volto a promuovere la riproduzione dei soggetti socialmente desiderabili (e. positiva) e a prevenire la nascita di soggetti indesiderabili (e. negativa) per mezzo di infanticidio e aborto. Anche nella Repubblica di Platone è possibile individuare caratteri selettivi nei gruppi sociali riconducibili all'eugenetica.
Dal 1968 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rivolto la genetica alla riduzione della mortalità imputabile alla malattia e alla prevenzione della malattia stessa. A tal fine, la nuova eugenetica prende in considerazione solo i caratteri che hanno un determinismo chiaro e stabilito, in particolare i tratti genetici responsabili di patologie ereditarie a trasmissione diretta, dei quali si vuole diminuire la frequenza con differenti metodi e momenti di intervento.
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