Giulia, Delio e Giuliano Gramsci
Voglio segnalare dal blog di Francesco Virga questo post con la lettera di Antonio Gramsci alla moglie in cui, riprendendo a mo' di metafora una novella, precisa che " Bisogna uscire dal fosso e buttar via il rospo dal cuore", unica strada per lottare contro le avversità con tutte le proprie forze, senza mai arrendersi passivamente o affidarsi esclusivamente all'aiuto altrui.
Un messaggio forte e significativo che mi auguro venga recepito da tutti come conatus, sforzo vitale, in questo certo non facile momento storico e sociale.
Nel giugno 1932 Antonio Gramsci ha già scontato
quasi sei anni di carcere e confino. Era stato arrestato l’8 novembre 1926,
nonostante l’immunità parlamentare (era deputato comunista), per antifascismo.
Mi sembra importante ricordare la vicenda di Gramsci (insieme a quella dei
fratelli Rosselli, di Piero Gobetti e di tanti altri intellettuali ridotti in vari modi al
silenzio dai fascisti, ben prima del 1938), in un momento in cui ritorna
a risuonare il ritornello di un fascismo che tutto sommato non sarebbe stato
poi così criminale, leggi razziali a parte. Nel giugno 1932 Gramsci sta già
male: ha avuto uno sbocco di sangue, ha perso tutti i denti, soffre di
un’insonnia tenace che lo sta lentamente sfibrando. Nonostante tutto, trova la
forza per scrivere alla moglie (che è in Russia, sofferente di una malattia
nervosa) una lettera come questa. La posto a ricordo della dignità,
dell’intelligenza e del rigore d’animo di un uomo e di un intellettuale
straordinario che da quel fascismo fu letteralmente annientato.
Avevo
già postato questa memorabile lettera due anni fa; la ripropongo
stamattina perchè, viste le notizie del giorno, mi sembrano sempre più
numerosi i rospi da buttar via dal cuore.
27 giugno 1932
Carissima Iulca,
ho ricevuto i tuoi foglietti, datati da mesi e giorni
diversi. Le tue lettere mi hanno fatto ricordare una novellina di uno scrittore
francese poco noto, Lucien Jean [...]. La novella si intitolava Un uomo in
un fosso. Cerco di ricordarmela. – Un uomo aveva fortemente vissuto, una
sera: forse aveva bevuto troppo, forse la vista continua di belle donne lo
aveva un po’ allucinato. Uscito dal ritrovo, dopo aver camminato un po’ a zig-zag
per la strada, cadde in un fosso. Era molto buio, il corpo gli si incastrò tra
rupi e cespugli; era un po’ spaventato e non si mosse, per timore di
precipitare ancora più in fondo. I cespugli si ricomposero su di lui, i
lumaconi gli strisciarono addosso inargentandolo (forse un rospo gli si posò
sul cuore, per sentirne il palpito, e in realtà perché lo considerava ancora
vivo). Passarono le ore; si avvicinò il mattino e i primi bagliori dell’alba,
incominciò a passar gente. L’uomo si mise a gridare aiuto. Si avvicinò un
signore occhialuto; era uno scienziato che ritornava a casa, dopo aver lavorato
nel suo gabinetto sperimentale. Che c’è? domandò – Vorrei uscire dal fosso,
rispose l’uomo. – Ah, ah! vorresti uscire dal fosso! E che ne sai tu della volontà,
del libero arbitrio, del servo arbitrio! Vorresti, vorresti! Sempre così
l’ignoranza. Tu sai una cosa sola: che stavi in piedi per le leggi della
statica, e sei caduto per leggi della cinematica. Che ignoranza, che ignoranza!
– E si allontanò scrollando la testa tutto sdegnato. – Si sentì altri passi.
Nuove invocazioni dell’uomo. Si avvicina un contadino, che portava al
guinzaglio un maiale da vendere, e fumava la pipa: Ah! ah! sei caduto nel
fosso, eh! Ti sei ubbriacato, ti sei divertito e sei caduto nel fosso. E perché
non sei andato a dormire, come ho fatto io? – E si allontanò, col passo ritmato
dal grugnito del maiale. – E poi passò un artista, che gemette perché l’uomo
voleva uscire dal fosso: era così bello, tutto argentato dai lumaconi, con un nimbo
di erbe e fiori selvatici sotto il capo, era così patetico! – E passò un
ministro di dio, che si mise a imprecare contro la depravazione della città che
si divertiva o dormiva mentre un fratello era caduto nel fosso, si esaltò e
corse via per fare una terribile predica alla prossima messa. – Così l’uomo
rimaneva nel fosso, finché non si guardò intorno, vide con esattezza dove era
caduto, si divincolò, si inarcò, fece leva con le braccia e le gambe, si rizzò
in piedi, e uscì dal fosso con le sole sue forze. – Non so se ti ho dato il
gusto della novella, e se essa sia molto appropriata. Ma almeno in parte credo
di sì: tu stessa mi scrivi che non dai ragione a nessuno dei due medici che hai
consultato recentemente, e che se finora lasciavi decidere agli altri ora vuoi
essere più forte. Non credo che ci sia neanche un po’ di disperazione in questi
sentimenti: credo che siano molto assennati. Occorre bruciare tutto il passato,
e ricostruire tutta una vita nuova: non bisogna lasciarci schiacciare dalla
vita vissuta finora, o almeno bisogna conservarne solo ciò che fu costruttivo e
anche bello. Bisogna uscire dal fosso e buttar via il rospo dal cuore. Cara
Iulca, ti abbraccio teneramente.
Antonio