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lunedì 11 dicembre 2017

il pendolo della vita



Potsdam, la targa della  Schopenhauerstrasse
mappe e testi


"Già nella natura incosciente, costatammo che la sua essenza è una costante aspirazione senza scopo e senza posa; nel bruto e nell’uomo, questa verità si rende manifesta in modo ancor più eloquente. Volere e aspirare, questa è la loro essenza; una sete inestinguibile. Ogni volere si fonda su di un bisogno, su di una mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al dolore. 

Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddisfazione venisse a spegnere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali. 

Donde lo stranissimo fatto, che gli uomini, dopo aver ricacciati nell’inferno dolori e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia. Questo sforzo perenne, costituente l’essenza di ogni fenomeno della volontà, riesce finalmente, nei gradi più alti della sua oggettivazione, a trovare il suo primo e più generale principio; la volontà si rivela qui a se stessa, in un corpo vivo che le comanda imperiosamente di nutrirlo; e il comando trae la sua forza precisamente da ciò, che il corpo è la volontà di vivere oggettivata. [...] 

Per i più, la vita non è che una lotta continua per l’esistenza, con la cer­tezza di una disfatta finale. E ciò che dà loro tanta forza di persistere in questo disastroso conflitto, non è tanto l’amor della vita, quanto la paura della morte, che tuttavia sta là, nel fondo, pronta sempre ad affacciarsi. La vita è un mare seminato di scogli e di gorghi, che l’uomo riesce, con cura e con prudenza estreme, ad evitare; sapendo però che se anche gli vien fatto, con la sua forza e con la sua destrezza, di cavarsela, non fa che avvicinarsi man mano al grande, al totale, all’inevitabile, all’irreparabile naufragio; sapendo che il suo è un veleggiare verso il naufragio, verso la morte; ultimo termine del penoso viaggio, meta spaventosa più degli scogli evitati. Lo sforzo di vivere non ha un fine ultimo.  

È poi anche da notare: per un verso, che i dolori e le torture della vita posson facilmente arrivare a una tale intensità, che la morte stessa ci divenga desiderabile: sicché, quantunque la nostra esistenza consista nel fuggirla, pure le si corra incontro volentieri; per un altro verso, che, non appena il bisogno e la sofferenza ci diano un momento di respiro, ci piomba subito addosso la noia, sicché siamo costretti a cercare qualche passatempo. Ciò che tien desti e in moto i viventi, è il desiderio di vivere. Orbene: assicurata che abbiano la vita, non sanno più che farsene: sopravviene allora un altro stimolo: il desiderio di liberarsi dal peso dell’esistenza, di renderlo insensibile, di «ammazzare il tempo»; in altre parole, di sfuggire alla noia. 

Così, la più gran parte di quelli che sono al riparo da ogni bisogno e da ogni preoccupazione, una volta riusciti a liberarsi di ogni altro peso, finiscono per diventar di peso a se stessi, e per ritenere come tanto di guadagnato, ogni ora che riescono a passare, ogni particella che riescono a sottrarre a quella vita, per il cui massimo prolungamento avevano prima impegnate tutte le loro forze. La noia non è, del resto, il meno disprezzabile dei mali; finisce per imprimere nel viso una stimmata di vera disperazione. La noia è appunto la causa per cui esseri che si amano così poco fra loro, e cioè gli uomini, pure si cercano a vicenda con tanta premura; è, dunque, la radice della socievolezza. E contro la noia, la saggezza politica prende, come contro le calamità comuni, dei provvedimenti pubblici. A ragione; perché la noia, e il suo estremo opposto che è la fame, può spingere gli uomini ai più furiosi eccessi; panem et circenses è ciò di cui il popolo ha bisogno. Il rigido sistema penitenziario di Filadelfia, che impone l’isolamento e l’inazione, fece della noia un mezzo di punizione: l’effetto fu così terribile, da spingere al suicidio i detenuti. 

Se il bisogno è il flagello del popolo, la noia è il supplizio delle classi superiori. Nella borghesia, la noia è rappresentata dalla domenica, il bisogno dagli altri sei giorni della settimana. Tutta la vita umana scorre tra il desiderio e la soddisfazione. Il desiderio è per sua natura dolore: la soddisfazione si traduce presto in sazietà. Il fine, in sostanza, è illusorio: col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma nuova, e con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor più terribili del bisogno. 

Quando il desiderio e la soddisfazione si seguono a intervalli non troppo lunghi né troppo brevi, la sofferenza che deriva da entrambi è ridotta al suo minimum, e si ha la vita più felice...."

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione,
libro IV, § 57, pp. 352-354 



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 In che senso la socievolezza dell’uomo si spiega col desiderio di fuggire la noia?

Qual è l’origine del dolore? 

Perché quando cessa il dolore subentra la noia?

Commenta con osservazioni tratte dalla tua esperienza le affermazioni di Schopenhauer sulle emozioni che dominano il corso dell’esistenza: dolore e noia, ansia e paura, senso di vuoto e desiderio di comunicazione. Ne condividi l'analisi nell'esistenza? Come hai cercato di affrontarle?

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