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Potsdam, la targa della Schopenhauerstrasse |
mappe e testi
"Già nella natura incosciente, costatammo che la sua essenza è una costante aspirazione
senza scopo e senza posa; nel bruto e nell’uomo, questa verità si rende
manifesta in modo ancor più eloquente. Volere e aspirare, questa è la loro essenza;
una sete inestinguibile.
Ogni volere si fonda su di un bisogno, su di una
mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al dolore.
Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto,
che una troppo facile soddisfazione venisse a spegnere ogni motivo di desiderio:
subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della noia: la sua esistenza, la
sua essenza, le diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la sua vita oscilla,
come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali.
Donde lo
stranissimo fatto, che gli uomini, dopo aver ricacciati nell’inferno dolori e supplizi,
non trovarono che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia.
Questo sforzo perenne, costituente l’essenza di ogni fenomeno della volontà, riesce
finalmente, nei gradi più alti della sua oggettivazione, a trovare il suo primo e
più generale principio; la volontà si rivela qui a se stessa, in un corpo vivo che le
comanda imperiosamente di nutrirlo; e il comando trae la sua forza precisamente
da ciò, che il corpo è la volontà di vivere oggettivata. [...]
Per i più, la vita non è che una lotta continua per l’esistenza, con la certezza di
una disfatta finale.
E ciò che dà loro tanta forza di persistere in questo disastroso conflitto, non è
tanto l’amor della vita, quanto la paura della morte, che tuttavia sta là, nel fondo,
pronta sempre ad affacciarsi. La vita è un mare seminato di scogli e di gorghi, che
l’uomo riesce, con cura e con prudenza estreme, ad evitare; sapendo però che
se anche gli vien fatto, con la sua forza e con la sua destrezza, di cavarsela, non
fa che avvicinarsi man mano al grande, al totale, all’inevitabile, all’irreparabile
naufragio; sapendo che il suo è un veleggiare verso il naufragio, verso la morte;
ultimo termine del penoso viaggio, meta spaventosa più degli scogli evitati.
Lo sforzo di vivere
non ha un fine
ultimo.
È poi anche da notare: per un verso, che i dolori e le torture della vita posson
facilmente arrivare a una tale intensità, che la morte stessa ci divenga desiderabile:
sicché, quantunque la nostra esistenza consista nel fuggirla, pure le si corra
incontro volentieri; per un altro verso, che, non appena il bisogno e la sofferenza
ci diano un momento di respiro, ci piomba subito addosso la noia, sicché siamo
costretti a cercare qualche passatempo.
Ciò che tien desti e in moto i viventi, è il desiderio di vivere. Orbene: assicurata
che abbiano la vita, non sanno più che farsene: sopravviene allora un altro
stimolo: il desiderio di liberarsi dal peso dell’esistenza, di renderlo insensibile,
di «ammazzare il tempo»; in altre parole, di sfuggire alla noia.
Così, la più gran
parte di quelli che sono al riparo da ogni bisogno e da ogni preoccupazione,
una volta riusciti a liberarsi di ogni altro peso, finiscono per diventar di peso a se
stessi, e per ritenere come tanto di guadagnato, ogni ora che riescono a passare,
ogni particella che riescono a sottrarre a quella vita, per il cui massimo prolungamento
avevano prima impegnate tutte le loro forze. La noia non è, del resto,
il meno disprezzabile dei mali; finisce per imprimere nel viso una stimmata di
vera disperazione.
La noia è appunto la causa per cui esseri che si amano così poco fra loro, e cioè
gli uomini, pure si cercano a vicenda con tanta premura; è, dunque, la radice
della socievolezza. E contro la noia, la saggezza politica prende, come contro le
calamità comuni, dei provvedimenti pubblici. A ragione; perché la noia, e il suo
estremo opposto che è la fame, può spingere gli uomini ai più furiosi eccessi;
panem et circenses è ciò di cui il popolo ha bisogno. Il rigido sistema penitenziario
di Filadelfia, che impone l’isolamento e l’inazione, fece della noia un mezzo
di punizione: l’effetto fu così terribile, da spingere al suicidio i detenuti.
Se il
bisogno è il flagello del popolo, la noia è il supplizio delle classi superiori. Nella
borghesia, la noia è rappresentata dalla domenica, il bisogno dagli altri sei giorni
della settimana.
Tutta la vita umana scorre tra il desiderio e la soddisfazione. Il desiderio è per sua
natura dolore: la soddisfazione si traduce presto in sazietà. Il fine, in sostanza, è illusorio:
col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma nuova,
e con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor
più terribili del bisogno.
Quando il desiderio e la soddisfazione si seguono a intervalli
non troppo lunghi né troppo brevi, la sofferenza che deriva da entrambi
è ridotta al suo minimum, e si ha la vita più felice...."
A. Schopenhauer,
Il mondo come
volontà
e rappresentazione,
libro IV, § 57,
pp. 352-354
rispondi:
In che senso la socievolezza
dell’uomo si spiega col
desiderio di fuggire la noia?
Qual è l’origine del dolore?
Perché quando cessa il dolore
subentra la noia?
Commenta con osservazioni tratte dalla tua esperienza le affermazioni di Schopenhauer sulle emozioni che dominano il corso dell’esistenza: dolore e noia, ansia e paura, senso di vuoto e desiderio di comunicazione. Ne condividi l'analisi nell'esistenza? Come hai cercato di affrontarle?