L’unico punto, per raggiungere il procedimento scientifico,... è la conoscenza di questa proposizione logica: che il negativo è insieme anche positivo, ossia che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare; vale a dire che una tale negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che si risolve ed è perciò negazione determinata. Bisogna, in altre parole, saper conoscere che nel risultato è essenzialmente contenuto quello da cui esso risulta. Quel che risulta, la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Codesta negazione è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e piú ricco che non il precedente. Essa infatti è divenuta più ricca di quel concetto. Contiene dunque il concetto precedente, ma contiene anche di piú, ed è l’unità di quel concetto e del suo opposto.
(Hegel, Scienza della logica)
Come molto spesso avviene, e come ci aveva insegnato Alessandro Magno a Gordio, qualche volta, per risolvere un problema irrisolvibile occorre cancellarlo. E Hegel aveva il carattere per farlo. In poche parole: se l’infinito è negazione del finito, e viceversa, allora il finito, in quanto negazione, è ciò che riflette l’infinito. E viceversa. L’uno non può essere senza l’altro, poiché l’uno è la verità dell’altro.
Si superano le ristrettezze della logica aristotelica fondata sul principio di non contraddizione, quello secondo cui, in una stessa proposizione, non posso affermare “che A e che non-A”. Questa logica escludente esalta le contraddizioni e le aporie, poiché non tiene conto della, oggi diremmo, “complessità” del reale. La logica hegeliana è invece dialettica: A non potrebbe essere senza il suo negativo, poiché il negativo riflette il proprio contrario.
Facciamo il solito esempio: è una giornata piovosa e triste di fine autunno; guardiamo il cielo e, sconsolati, pensiamo: come sono belle le giornate primaverili, piene di sole e di profumo. Or bene: da dove deriva la bellezza delle giornate primaverili, se non dall’essere la negazione della tristezza autunnale; e da dove deriva la tristezza autunnale se non dall’essere la negazione della vitalità primaverile? L’una non avrebbe senso senza l’altra, come la gioia senza il dolore e la vita senza la morte. Questa è la logica hegeliana. E questo è il nuovo rapporto che Hegel stabilisce tra l’infinito e il finito.
Ma attenzione: l’infinito non è la somma di tutti i “finiti”, non è un contenitore, l’universo mondo di Giordano Bruno. Esso non cessa di essere un processo, idealisticamente: è lo sviluppo delle sue singole determinazioni verso un esito che, concettualmente, è già presente nel suo inizio. L’infinito è il dispiegarsi della Ragione che comprende ogni suo singolo momento. È, in altri termini, un sistema. Se non ci fosse l’infinito non si potrebbe dare un ordine all’insieme delle cose, non si potrebbe cioè conoscere, perché conoscere vuol dire cogliere l’ordine necessario della realtà, scoprire come essa diviene ciò che è. Vuol dire, cioè, avere uno sguardo assoluto sulle cose, ovvero porsi al polo opposto di tutto ciò che è finito, individuale, soggettivo.
L’infinito non è un “valore assoluto”, ma relativo: esso trae il suo significato dal fatto che si oppone specularmente a tutto ciò che è individuale e limitato. Nella nostra vita quotidiana, noi agiamo in vista di un orizzonte limitato al nostro semplice hic et nunc, non vediamo oltre noi stessi o poco più.
Il filosofo, al contrario, coglie ciascuno di noi nel posto che il sistema gli ha assegnato, vede cioè il sistema nella sua completezza assoluta, dentro cui ogni singolo individuo agisce secondo una logica che è coerente con le esigenze del sistema stesso (pur non sapendolo).
Detto hegelianamente: la storia è regolata da leggi, il divenire ha in ogni suo momento in vista il suo fine ultimo.
L’infinito quindi è, nello stesso momento, effettivo e potenziale: è effettivo perché si realizza in quanto sistema ordinato di fatti, ed è potenziale perché in continuo divenire, processo.
(da Didasfera)
PROF. LUIGI VIMERCATI LICEO PARINI, MILANO
"(...)Ad
ogni modo la cosa di maggior rilievo é che nella sua Scienza della logica
(ecco perché è il testo più complesso, giustamente, della storia della
filosofia) Hegel ritiene di avere il dovere di concentrare e di unificare tutte
le categorie che nella storia dell'umanità sono state escogitate per dare
significato razionale alla stessa realtà. Quindi le categorie con cui qui abbiamo
a che fare riguardano il pensiero, riguardano il linguaggio, perché ovviamente il pensiero si esprime
attraverso il linguaggio, e riguardano la realtà; tutto insieme. Quindi alla
domanda su quale sia il fondamento della logica dobbiamo rispondere: fondamento
della logica é il pensiero, fondamento della logica è la realtà, perché lo
sviluppo della realtà é lo stesso del pensiero, e viceversa. E' quindi contro
ogni separazione.
Ciò
che distacca la logica contemporanea da Hegel é proprio questo senso differente
della ragione. Hegel risponde ovviamente al problema dal suo punto di vista.
Voi
qui potreste porvi la domanda - mi pare che sia inevitabile - : come pensa
Hegel sia possibile riunire tutte le categorie della razionalità in un unico
contesto? Le categorie: non é importante che siano dodici o ventiquattro, ma che
esse abbiano un loro svolgimento interno e che diano luogo ad un sistema che é
da concepire un po' in maniera organicistica, cioè come un tutto, come un corpo
in cui ci sono vari organi, e quello che fa una mano non può farlo un piede,
però la vita, che dà vita alla mano e al piede, é unica e non può fare né senza
della mano né senza del piede. E’ quindi un'unità che si articola attraverso la
molteplicità.
Lo
strumento teorico che va incontro alla spiegazione di questo punto é la
dialettica, che é sostanzialmente il muoversi della ragione su questi tre
momenti, che sono fondamentali nell'impianto e nella prospettiva di Hegel(...)"
dalla trascrizione di una
conferenza tenuta a Brescia dal prof. Mario Dal Pra sulla Logica hegeliana il 4 marzo 1983 per un pubblico di studenti