"Nella sua ormai famosissima conferenza sul tema Politica come professione (tenuta a Monaco il 28 gennaio 1919, un anno prima della sua morte), Max Weber trattò in modo disincantato il tema del rapporto fra etica e politica.
La politica è il dominio della forza. Chi ha la «vocazione» per la politica (Beruf in tedesco significa sia professione sia vocazione) sa di dover affrontare aspre lotte. Solo uomini astuti e dal carattere forte potranno affrontare le insidie «diaboliche» della politica, il cui terreno proprio è l’uso della forza. E’ per definire questo carattere che Weber introduce la distinzione tra
- “etica della convinzione” — o più precisamente “etica dei princìpi” (Gesinnungsethik)
- ed “etica della responsabilità” (Verantwortungsethik).
La prima è un’etica assoluta, di chi opera solo seguendo principi ritenuti giusti in sé, indipendentemente dalle loro conseguenze. E’ questa un’etica della testimonianza assolutizzata: “avvenga quel che avverrà, io devo comportarmi così”. Gli insuccessi, in questo quadro, sono da attribuire al mondo esterno, che si è opposto ai buoni principi.
La seconda è l’etica veramente pertinente alla politica. L’etica della responsabilità si riferisce alle presumibili conseguenze delle scelte e dei comportamenti che l’individuo ed il suo gruppo di appartenenza mette in atto.
Gli insuccessi, in questo caso, sono invece da attribuire al politico che non ha saputo ben operare nel conseguimento dei fini
Il problema, scrive Weber, è che «il raggiungimento di fini buoni è accompagnato il più delle volte dall’uso di mezzi sospetti», e «nessuna etica può determinare quando e in qual misura lo scopo moralmente buono “giustifica” i mezzi e le altre conseguenze moralmente pericolose». Chi non tiene conto di questo — che dal bene non deriva sempre il bene e dal male non deriva sempre il male — «in politica è un fanciullo».
Le due etiche non sono però «antitetiche ma si completano a vicenda, e solo- congiunte formano il vero uomo, quello che può avere la “vocazione per la politica“», salvo ribadire che tra esse non potrà mai darsi vera conciliazione né armonia a buon mercato.
La lezione di realismo di Weber si spinge così fin dentro le pieghe dell’etica. Egli afferma che solo un atto di responsabilità può risolvere, nell’azione, i “dilemmi etici” che il politico, e in generale chiunque abbia responsabilità verso il prossimo, si trova inevitabilmente di fronte. I valori sono più d’uno, ognuno ugualmente importante nella propria sfera, e non sempre sono armonizzabili, ma possono scontrarsi ed entrare in conflitto quando è il momento di agire.
Non che l'etica della convinzione coincida con la mancanza di responsabilità e l'etica della responsabilità con la mancanza di convinzione. Non si vuol certo dir questo. Ma v'è una differenza incolmabile tra l'agire secondo la massima dell'etica della convinzione, la quale - in termini religiosi - suona: "Il cristiano opera da giusto e rimette l'esito nelle mani di Dio", e l'agire secondo la massima dell'etica della responsabilità, secondo la quale bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni.
A un convinto sindacalista il quale si regoli secondo l'etica della convinzione potrete esporre con la massima forza di persuasione che la sua azione avrà per conseguenza di aumentare le speranze della reazione, di aggravare l'oppressione della sua classe e di impedirne l'ascesa: ciò non gli farà la minima impressione. Se le conseguenze di un'azione determinata da una convinzione pura sono cattive, ne sarà responsabile, secondo costui, non l'agente bensì il mondo o la stupidità altrui o la volontà divina che li ha creati tali.
Chi invece ragiona secondo l'etica della responsabilità tiene appunto conto di quei difetti presenti nella media degli uomini; egli non ha alcun diritto - come giustamente ha detto Fichte - di presupporre in loro bontà e perfezione, non si sente autorizzato ad attribuire ad altri le conseguenze della propria azione, fin dove poteva prevederla. Costui dirà: "queste conseguenze saranno imputate al mio operato". L'uomo morale secondo l'etica della convinzione si sente "responsabile" solo quanto al dovere di teneraccesa la fiamma della convinzione pura, per esempio quella della protesta contro l'ingiustizia dell'ordinamento sociale. Ravvivarla continuamente, è questo lo scopo delle sue azioni assolutamente irrazionali - a giudicarle dal loro possibile risultato - le quali possono e devono avere un valore soltanto di esempio.
A un convinto sindacalista il quale si regoli secondo l'etica della convinzione potrete esporre con la massima forza di persuasione che la sua azione avrà per conseguenza di aumentare le speranze della reazione, di aggravare l'oppressione della sua classe e di impedirne l'ascesa: ciò non gli farà la minima impressione. Se le conseguenze di un'azione determinata da una convinzione pura sono cattive, ne sarà responsabile, secondo costui, non l'agente bensì il mondo o la stupidità altrui o la volontà divina che li ha creati tali.
Chi invece ragiona secondo l'etica della responsabilità tiene appunto conto di quei difetti presenti nella media degli uomini; egli non ha alcun diritto - come giustamente ha detto Fichte - di presupporre in loro bontà e perfezione, non si sente autorizzato ad attribuire ad altri le conseguenze della propria azione, fin dove poteva prevederla. Costui dirà: "queste conseguenze saranno imputate al mio operato". L'uomo morale secondo l'etica della convinzione si sente "responsabile" solo quanto al dovere di teneraccesa la fiamma della convinzione pura, per esempio quella della protesta contro l'ingiustizia dell'ordinamento sociale. Ravvivarla continuamente, è questo lo scopo delle sue azioni assolutamente irrazionali - a giudicarle dal loro possibile risultato - le quali possono e devono avere un valore soltanto di esempio.
Ma nemmeno con ciò il problema è esaurito.
Nessuna etica del mondo può prescindere dal fatto che il raggiungimento di fini "buoni" è il più delle volte accompagnato dall'uso di mezzi sospetti o per lo meno pericolosi e dalla possibilità o anche dalla probabilità del concorso di altre conseguenze cattive, e nessuna etica può determinare quando e in qual misura lo scopo moralmente buono "giustifichi" i mezzi e le altre conseguenze moralmente pericolose.
Nessuna etica del mondo può prescindere dal fatto che il raggiungimento di fini "buoni" è il più delle volte accompagnato dall'uso di mezzi sospetti o per lo meno pericolosi e dalla possibilità o anche dalla probabilità del concorso di altre conseguenze cattive, e nessuna etica può determinare quando e in qual misura lo scopo moralmente buono "giustifichi" i mezzi e le altre conseguenze moralmente pericolose.
[Max Weber, La politica come professione, in id., Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1980, pp. 102 - 112.]