post di Andrea Filogamo
classe 4 H
La morte: l’opposto
della vita; un alcunché che la maggior
parte del genere umano non si aspetta ma che improvvisamente, in un batter di
ciglia, in una infinitesima parte di secondo può arrivare a negare la nostra
permanenza in questo mondo dove fato e tempo, come dittatori incontrastabili,
impongono le loro leggi.
La
morte, la cessazione, la perdita. Questi termini sono dei sinonimi che, per
essere tali, devono avere delle analogie dal punto di vista significativo.
Fermo restando che ognuno vive il problema della morte secondo la propria
individualità e formazione, il secondo ed il terzo termine sono soltanto delle
caratteristiche del primo.
Analizzando
l’etimologia della parola morte, vediamo che essa deriva dal latino mors, che ricorda molto la parola
italiana morso. Potremmo interpretare tutto ciò dicendo la morte è,
metaforicamente, un morso che colpisce la nostra sensibilità e ci priva di
qualcosa di cui naturalmente prima eravamo proprietari. Ma che significa essere
proprietari della propria vita e cosa significa che la morte è ciò che ci priva
di essa?
Secondo
uno dei maggiori filosofi dell’età ellenistica, ovvero Epicuro, l’uomo non deve
avere paura della morte poiché quando la morte c’è noi non ci siamo, quindi è
uno stato che non ci riguarda. Oserei
però definire, per certi versi, sbagliata la tesi postulata da Epicuro.
L’errore commesso dal filosofo sta nel definire che la morte non riguarda noi,
non ci tange in alcun modo, poiché essa è qualcosa che riguarda ciò che eravamo
prima che essa sopravvenisse. Dicendo ciò, però, egli riduce la nostra persona
ad un essere che vive solamente nel presente e a cui ciò che accadrà dopo non
gli appartiene. Ma tutto ciò, a parer mio, è sbagliato poiché cosi ragionando
omettiamo una delle principali capacità dell’uomo, ovvero quella della
pianificazione.
Quando
noi, partendo da cose anche molti semplici che riguardano la nostra routine
quotidiana, iniziamo la giornata cercando di portare a termine quelle azioni
che abbiamo in progetto di fare, stiamo appunto pianificando qualcosa. Ma come
mai pianificare è così importante per l’uomo e che collegamento ha ciò con la
morte ?
Pianificare
per l’uomo significa voler compiere delle specifiche azioni , qualcosa che
sicuramente avverrà nel futuro. Tuttavia le attività che compie l’uomo nel
presente sono in funzione di quelle future e queste ultime potrebbero anche
definirsi “connaturate” al nostro essere contemporaneo, anche se effettivamente
sono strettamente legate al futuro. Alla luce di quanto detto, l’uomo conduce
la sua vita progettando le attività che si accingerà a compiere e cercando di
realizzarle. La morte è invece l’esatto opposto della vita poiché è la
cessazione di questo continuo afflato verso il futuro e segna dunque la perdita
di ciò che volevamo fare.
Io
penso che l’uomo debba avere paura della morte, debba avere una folle paura di
perdere tutto ciò che gli appartiene, deve temere di rinunciare a tutto quello
che ha di più importante. Se non si avesse paura della morte, in qualche modo,
si svaluterebbe anche l’importanza della vita stessa, si vivrebbe alla
“giornata”, sperando di non morire, ma non preoccupandosi della morte stessa.
Epicuro
rimuovendo la paura della morte, dava una soluzione per vivere felici ma anche
questa affermazione a mio parere risulta errata.
Un’altra
parola che, in conclusione, si può ricollegare alla morte è: Limite.
Come descritto in precedenza, la morte è la cessazione, è la perdita di tutto, è
ciò che blocca la nostra vita, è il limite di essa stessa. Noi esseri
umani, immersi in un mondo in continuo divenire, abbiamo paura di essere limitati,
perché l’essere totalmente immobili non inerisce alla nostra natura.
Ma l’angoscia della morte
e il non voler raggiungere il limite di tutto possono essere trasformati in energia positiva, nel nostro
motore vitale, in ciò che ci spinge a compiere tutto ciò che vogliamo
concretizzare, perché fortunatamente non avremo l’eternità per farlo.
Quindi,
non è forse la paura che riesce a farci vivere con un marcia in più e a renderci realmente felici di vivere il tempo
che ci è rimasto?